“Quale collegamento ipotizzare tra violenza assistita e violenza di genere? Analisi e proposte risolutive”

L’intervento di Diego Moretti, responsabile Cefam: “Tre i livelli da analizzare: prevenzione, accompagnamento e cura”.

Si è svolto venerdì 20 novembre, giornata mondiale dedicata all’infanzia e a pochi giorni dalla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, un convegno dedicato al complesso legame tra violenza assistita e violenza di genere.

L’evento, avvenuto in diretta facebook sulla pagina della senatrice Tiziana Drago, ha voluto accendere i riflettori su un tema delicato, sul quale purtroppo ha inciso anche il lockdown.

Tra i relatori presenti all’incontro anche Diego Moretti, pedagogista e direttore del Cefam, centro europeo di formazione accoglienza minori.

Di seguito riportiamo il suo interessante intervento:

“Attraverso la nostra attività di accoglienza di minori e, in particolare, madri con bambino, tocchiamo con mano i temi della violenza assistita intra familiare e della violenza di genere. Viviamo quindi quotidianamente la forte connessione presente fra le due violenze.

La violenza assistita intra familiare vede il bambino vittima di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza che possono essere di tipo fisico, verbale, psicologico, sessuale ed economico su figure di riferimento.

Essa viene messa in relazione con la violenza di genere perché spesso la violenza agita in famiglia avviene da parte del mondo degli adulti, in particolare da parte di un genitore nei confronti dell’altro.

Coronavirus: violenze sulle donne in aumento

E’ un dato di fatto che nel sentire comune si pensi ad un uomo che maltratta una donna. Le statistiche confermano l’alta percentuale di donne vittime di violenze. Ancora di più oggigiorno, al tempo del Covid, dove è una ricerca dell’ISTAT a mettere in luce un aumento del fenomeno. Pensate che rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2019, le telefonate al numero antiviolenza 1522 ritenute valide sono aumentate del 73% e le vittime di violenza del 59%. Tra queste donne ovviamente vi sono madri vittime di episodi di vario tipo, ai quali hanno assistito i propri figli.

Maltrattamenti in famiglia. Vittime non soltanto le donne

Detto ciò, in un’ottica di analisi, è da tenere in considerazione che si contemplano episodi di violenza subìti anche dal sesso maschile. Questi emergono molto più difficilmente, forse perché per un uomo, ammettere di aver subìto una forma di violenza da parte di una donna è visto ancora come una sorta di disonore.

Vi faccio l’esempio di un uomo che qualche tempo fa mi ha raccontato di essere stato picchiato dalla compagna, con due computer portatili. Quest’uomo mi ha confidato che nonostante i lividi, non aveva certo pensato di sporgere denuncia alla donna dalla quale si stava separando, un po’ perché aveva in mente i suoi figli, il fatto che lei era la loro madre, e che certo sarebbe stato deriso se lo avesse raccontato in giro.

Questo è solo un esempio, ma esistono forme di violenza psicologica che molti uomini subiscono dalle loro compagne, anche davanti ai propri figli. Le testimonianze di uomini nelle associazioni di padri separati ne danno riscontro.

Non voglio assolutamente entrare in una logica di ‘maschi contro femmine’, come avete visto ho posto sull’altare della vostra attenzione sia le violenze subìte dalle donne, che quelle subìte dagli uomini, ma vorrei che i tempi fossero maturi per poter dire: ‘noi contro la violenza domestica’.

D’altronde, ribadisco che qualcosa è già in atto, in un’ottica di oggettività rispetto alle violenze in famiglia. Tribunali per minorenni, servizi sociali, ci dicono che se ci fossero comunità genitore bambino, che contemplassero anche la figura paterna, agirebbero ad un collocamento della diade papà bambino, piuttosto che allontanare il bambino da entrambe le figure genitoriali.

Quali prospettive risolutive possono essere messe in campo?

I livelli da analizzare sono almeno tre: la prevenzione, l’accompagnamento e la cura. In ognuno di questi livelli, l’approccio deve essere multidisciplinare e deve tenere in considerazione il sistema di vita dove si inserisce la famiglia, ovvero le reti familiari e amicali, i contesti frequentati (lavoro, tempo libero, ecc.).

Prevenzione

Nel livello di prevenzione considero essenziali l’informazione, la formazione e l’educazione.

La prevenzione si fa nelle famiglie, sostenendo percorsi di scuola per i genitori dove poter condividere le tante difficoltà che magari stanno alla base dell’incapacità di costruire relazioni sane.

La prevenzione si fa nelle scuole, con azioni mirate di educazione al rispetto, alla gestione dei conflitti, ai valori della solidarietà.

La prevenzione si fa nella comunità locale, sensibilizzando al tema affinché si possa intervenire in maniera graduale a seconda dell’avvisaglia di un determinato sintomo.

La prevenzione la fa lo Stato, sostenendo tutto quanto detto sopra attraverso campagne di sensibilizzazione e finanziamenti mirati.

Accompagnamento

Il livello di accompagnamento viene svolto da professionisti in materia, qualora si ritenga che i rapporti di coppia non stiano andando bene. Certo, occorre essere consapevoli che si sta degenerando e avere l’umiltà di chiedere aiuto ad un esterno. Dal punto di vista pedagogico, il conflitto è fisiologico ma occorre essere in grado di gestirlo bene, affinché diventi fonte di crescita. Azioni concrete sono il sostegno alla genitorialità e alla coppia, e nei casi di separazione la mediazione familiare, uno degli istituti ancora oggi poco utilizzati.

Cura

Infine il livello di cura. Esso interviene laddove il fenomeno è esploso e richiede interventi di specialisti. Non voglio entrare in merito alle tante forme di intervento come possono essere le diverse modalità di terapia individuale, di terapia sulla diade genitore bambino, ecc. Quello che voglio sottolineare nel percorso di cura è che il minore vittima e l’adulto vittima hanno sicuramente la priorità e devono essere messe innanzitutto in protezione il prima possibile. Oltre a ciò guardo con interesse e con favore tutte quelle iniziative che si prendono carico anche degli autori di violenza. Oltre alle pene previste dalla legge, è bene predisporre percorsi di recupero su più livelli, partendo da un presupposto: molto spesso, chi è autore di violenza, è stato a sua volta vittima di violenza.

L’auspicio è arrivare a una riconciliazione fra vittime e autori di violenza, in un’ottica di giustizia riparativa. E’ una strada faticosa, lunga, che richiede il pentimento e la decisione di cambiamento, di conversione (scusate il termine di solito inteso in accezione religiosa ma rende bene l’idea! ) da parte dell’autore di violenza. Penso che solo in questo modo, un processo di cura possa arrivare ad una buona conclusione, soprattutto per le vittime.

Diego Moretti

Responsabile Cefam