Adozione internazionale. Il focus di Altroconsumo: Griffini (Ai.Bi.) “Se il motore della CAI non funziona, la macchina dell’adozione si ferma”

Crollano le adozioni internazionali. Colpa dei costi, della burocrazia e della fecondazione assistita. E anche di una certa politica. Ora si deve ripartire. 

La coppia deve presentare al Tribunale per i minorenni la dichiarazione di disponibilità all’adozione. Il tribunale (in base anche alla relazione dei servizi sociali) deve valutare se rilasciare il decreto di idoneità. Se si decide per quella internazionale, la coppia deve indicare entro un anno l’ente autorizzato a seguirla per il percorso di adozione internazionale. I costi variano in base all’ente e al Paese. I genitori adottivi possono dedurre dall’Irpef il 50% delle spese sostenute. Ci sono poi rimborsi spese finanziati di anno in anno in base alle risorse.

I tempi: dalla domanda all’ingresso del minore in Italia servono in media dai 3 ai 6 anni

adozione internazionale. Criticità e limiti, ma anche le potenzialità per ripartireDalla Federazione russa ne sono arrivati 228154 dalla Colombia; 123 dall’India; 112 dall’Ungheria; 95 dalla Poloniaaltri 727 da 37 paesi del globo, dal Vietnam all’Honduras. In totale i bambini adottati in Italia nel 2017 sono 1.439, anzi solo 1.439. Perché rispetto agli anni passati il numero è seriamente diminuito. Nel 2014 i bimbi arrivati in Italia erano 2.206nel 2010 furono 4.130, decretando un anno d’oro per le adozioni internazionali. Oggi questi picchi sembrano lontanissimi, soprattutto se si pensa che, per la prima volta, nel 2018 le adozioni potrebbero scendere sotto quota mille. Tradotto: un vero e proprio crollo. Che cosa è cambiato? Che cosa ha prosciugato la tradizionale apertura degli italiani nei confronti di tutti i bambini, anche quelli con ‘special needs’, cioè bambini che hanno subìto traumi, con problemi di comportamento, con disabilità, grandicelli o con fratellini? 

Crolla tutto, perché? Costi eccessivi, tempi imprevedibili, sfiducia generale nel sistema. Le ragioni alla base del crollo delle adozioni internazionali sono tante e s’intrecciano tutte. Una, non trascurabile, è l’avvento della fecondazione assistita. “Molti governi – ci spiega Marco Griffini, presidente di Ai.Bi, Amici dei Bambini, uno degli enti autorizzati alle adozioni internazionali che nel 2017 ne ha concluse 87 – hanno puntato sulla fecondazione assistita: è stata promossa ed è diventata gratuita entrando nel sistema sanitario nazionale. Parlando con le coppie spesso mi raccontano che sono gli stessi servizi sociali che consigliano loro di intraprendere la strada della fecondazione prima di quella dell’adozione”.

A questi sacrosanti punti ne va aggiunto uno: l’interesse politico. Perché se manca un motore che spinge, la macchina non può camminare. Per anni però la Cai è stata in stallo: durante la gestione dell’ex presidente Silvia della Monica, terminata a giugno 2017, non sono stati avviati rapporti diplomatici con nuovi Paesi né rafforzati quelli esistenti. “Gli ultimi tre anni sono stati deleteri – ammette Griffini – ma in realtà anche nei due precedenti con i governi tecnici l’adozione internazionale non è mai stata in cima ai pensieri del governo”. Sotto della Monica, l’Italia ha interrotto ogni relazione con i Paesi di origine dei bambini.

Per sbloccare questa incertezza servirebbe un primo passo. “Oggi (luglio 2018, n.d.r.) siamo ancora in attesa di sapere se il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, che ha ricevuto la delega per la famiglia e le adozioni, assumerà anche la presidenza della Cai – ci spiega il presidente di Ai.Bi. – e si deve anche completarne l’organico: manca, per esempio, il direttore generale che ha il compito a livello amministrativo di far funzionare la baracca”. Senza un buon capitano, si sa, non si può navigare per mari in tempesta. Come si può ripartire? La Cai ha grandi progetti. Sulla carta. Uno è il ‘fascicolo trasparente’ che servirà alle coppie per seguire online il percorso della loro domanda. Laura Laera sta poi lavorando a nuovi rapporti diplomatici e ricucendo quelli coni Paesi che hanno sbarrato le porte alle coppie straniere: situazioni che condannano gli aspiranti genitori a lunghe attese. “In Romania ci sono migliaia di bambini negli istituti che non possono essere adottati – ci racconta Griffini – dal 2005 le adozioni internazionali sono state bloccate e a partire dal 2013 sono state parzialmente riaperte, ma solo per le coppie rumene che vivono all’estero o per le famiglie ‘miste’ in cui almeno uno dei due coniugi sia rumeno. È in situazioni come questa che si deve sentire il forte impulso del Governo”. I nodi da sciogliere sono ancora tanti. “Abbiamo chiesto al legislatore che venga abolita la politica della selezione – conclude Griffini – a favore di un accompagnamento delle famiglie che si candidano: vanno prese per mano, non selezionate così duramente”.

 

Fonte: Altroconsumo ‘In tasca’ (estratto)