La Parola di Dio è una lama affilata che toglie, cura e guarisce, ma non senza dolore

Nella XXVIII domenica del tempo ordinario il commento del teologo Don Maurizio Chiodi prende spunto dalla Prima Lettura Dal libro della Sapienza Sap 7,7-11,  dalla Prima Lettura Dal libro della Sapienza Sap 7,7-11 e Dal Vangelo secondo Marco Mc 10,17-30

Davvero «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio», ma solo se noi lasciamo che essa sia così per noi! Se la accogliamo, allora «essa penetra … fino alle giunture e alle midolla», allora essa ci permette di discernere «i sentimenti e i pensieri del cuore».

Entra la Parola di Dio, come una lama affilata che toglie, cura e guarisce, ma non senza dolore, non senza che noi ci lasciamo invadere da questa Parola, così ‘altra’ e sorprendente.

Il brano di Vangelo, oggi, è un racconto ‘vivo’, che ci permette di comprendere la verità di quanto dice la lettera agli Ebrei.

Il Vangelo racconta di un tale, senza dire che sia un «giovane» o no, come invece dice esplicitamente il Vangelo di Mt 19, 20. Ad ogni modo, questo uomo facilmente ce lo possiamo immaginare come abbastanza giovane.

Va da Gesù, anzi gli corre incontro e si getta in ginocchio davanti a Lui. C’è uno slancio evidente, c’è un’intensità, una tensione molto forte già in questi due atti: si dirige verso Gesù correndogli incontro e, poi, una volta lì, davanti a Lui, si getta in ginocchio.

Anelito, incontro, ‘adorazione’ e supplica, così potremmo identificare questo modo di agire.

Poi segue una bella domanda: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».

«Maestro buono», così quest’uomo chiama Gesù: è un appellativo molto particolare, che indica stima, affetto, molto più di quanto si potesse avere verso un ‘maestro’, un ‘rabbi’, come pure era Gesù.

La risposta di Gesù, come spesso accade, è una domanda, di cui però Gesù non sembra attendere la risposta, perché subito la dà lui stesso: «Perché mi chiami buono?».

È come se Gesù invitasse, molto discretamente, quest’uomo ad andare più nel profondo del suo entusiasmo, del suo desiderio, del suo anelito. Chi è colui al quale si rivolge, chiamandolo «buono»?

All’apparenza Gesù sembra dire che non deve chiamarlo «buono», perché: «Nessuno è buono, se non Dio solo». Ma, evidentemente, questa interpretazione rovescerebbe il senso delle sue parole.

Solo Dio è buono e non si comprende niente di Gesù se non si comprende la sua relazione profonda, filiale, con Dio, il Padre, origine di ogni bontà e bene, sorgente di ogni dono e grazia.

Poi, ancora, rinvia quest’uomo ai comandamenti, il decalogo, anche se lui stesso lo cita con grande libertà: ne cambia l’ordine, toglie un comandamento (non desiderare), ne aggiunge un altro (non frodare) e, soprattutto, tralascia i primi tre (in realtà quattro!), quelli riferiti al nostro ‘diretto’ rapporto con Dio.

Perché Gesù omette e tralascia le prime parole del decalogo, proprio quelle riferite a Dio? In fondo, quest’uomo era ‘corso’ da Lui proprio chiedendogli che cosa doveva «fare per avere in eredità la vita eterna?».

Quest’uomo gli aveva chiesto di Dio, perché la vita eterna è la vita beata, la vita piena, il compimento di ogni nostro desiderio e attesa, che solo Dio può colmare e saziare.

Gesù, invece, sembra fermarsi sul ‘fare’.  Quest’uomo aveva un gran desiderio, un bel desiderio. Stava cercando, spinto da un bel sentimento!

Quest’uomo assomiglia a quanto dice il libro della Sapienza, riferendolo al giovane Salomone: «Pregai … implorai …», “perché mi fosse data la sapienza, perché per me era più importante del potere regale o della ricchezza, della salute e della bellezza”.

C’è un bellissimo insegnamento, davvero sapiente, in queste parole: il desiderio di ciò che conta, nella vita.

Questo è molto più del potere, del denaro, della salute e della bellezza. L’esperienza ci insegna che tutto ciò non basta mai: quando un uomo ha potere, ne vorrebbe di più; quando ha denaro, ne vorrebbe di più e non è mai sazio. E questo vale anche per la nostra salute e la bellezza, perché non possiamo ‘trattenerle’, ci sfuggono.

Infatti tutte queste cose ‘belle’ ci parlano di altro. Questi desideri, in fondo, nascono dal desiderio di una pienezza che li supera: «insieme a lei mi sono venuti tutti i beni».

Quando un uomo ha la sapienza, allora riesce a comprendere e ad apprezzare tutti i beni della terra, perché comprende che gli parlano e gli indicano un bene più grande che è Dio stesso. Senza la fiducia in Dio, egli perde tutti gli altri beni, perché li considera come una conquista, e li pretende, e non li sa accogliere e riconoscere come il dono di Dio!

Per tornare al Vangelo, quest’uomo dice a Gesù che, lui, «queste cose» le ha «osservate» fin dalla sua giovinezza, fin da piccolo, da ragazzo (vedete, poteva anche non essere più tanto giovane …).

Quest’uomo dice a Gesù: “non mi basta… Non mi basta essere onesto, leale nei miei rapporti con gli altri, non mi basta essere un buon figlio. Non mi basta, perché c’è in me un desiderio, un anelito più profondo”.

È a quel punto, dietro la bella insistenza di quest’uomo, che accade qualcosa di inaudito, di sorprendente, di unico: «allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse…».

Sono tre passaggi brevissimi, quasi di un istante, ma intensissimi: lo sguardo, la relazione e la parola.

Gesù fissa lo sguardo su quest’uomo, come a dirgli: “guardami, mentre io ti guardo”. E cioè: “esci da te, lasciati colpire da me, questo altro che ti sta guardando, come se tu fossi unico al mondo, come se tra me e te non ci fosse niente e nessun altro!”. È attraverso lo sguardo degli occhi di Gesù, è attraverso il suo ‘volto’ («buono») che Gesù lo amò.

Non c’è qui se non una cosa: «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

Tra Gesù e quest’uomo non ‘passa’ un sentimento passeggero, una simpatia o un interesse o una proposta di semplice amicizia. In questo istante, Gesù si rivela a quest’uomo come Grazia, gratuità, dono di sé. È Dio!

In questo momento Gesù sta donando a quest’uomo quello che lui cercava: perché l’eternità di Dio è grazia e lo sguardo, gli occhi di Gesù ci rivelano e ci donano, fin d’ora l’eternità piena di Dio.

Per questo, a quest’uomo, Gesù dice: «e vieni! Seguimi!». Tutto il resto, quello che lasci per seguire me, per ascoltare la mia parola, per fidarti, tutto questo, anche se apparentemente lo lasci, lo ritroverai.

Questa è la chiamata alla vita cristiana.  Ogni credente è chiamato a seguire Gesù, a fidarsi di Lui e, in questo abbandono, egli trova e ritrova la bellezza e la bontà di ogni cosa, di ogni rapporto, la bellezza di ogni volto, di ogni filo di luce, nonostante le ombre della vita.

Ma quell’uomo non si fida di queste parole, di questo sguardo.  Se ne va via, «rattristato». È lui che si condanna a essere/diventare triste.

Si lascia ‘sedurre’, intrappolare dai «molti beni» che possedeva, dimenticando che quei beni non sarebbero beni se non fossero segno del Bene di Dio, della grazia di Dio,

Ci sarebbero poi da commentare il dialogo, sofferente, ma luminoso, di Gesù – con il suo sguardo – e i discepoli. Mi limito solo a dire, con le parole di Gesù, che l’impossibile per l’uomo diventa per lui possibile se si fida, se si lascia salvare, se accoglie la grazia di una presenza che gli chiede: «e vieni! Seguimi!». 

Allora ritroveremo tutto, con abbondanza… comprese le difficoltà … le persecuzioni!   

don Maurizio