Hikikomori: “Sono rimasta chiusa nella mia stanza per tre anni: non facevo niente, stavo al computer”

Gli esordi della chiusura si manifestano tra i 12 e i 23 anni, anche se oggi, l’età sembra si stia abbassando sempre di più, coinvolgendo anche i bambini delle elementari.

con il termine Hikikomori, in Giappone si indicano quei ragazzi che decidono, nel senso letterale del termine di “stare in disparte”. La parola infatti deriva dal verbo hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi). Sono giovani che hanno deciso di isolarsi dal mondo. Vivono chiusi nella propria stanza. A fargli compagnia il cellulare e la tecnologia. Un problema che coinvolge ragazzi anche italiani e di cui già altre volte abbiamo parlato. QUI e QUI

Secondo quanto indicato da Matteo Lancini, psicoterapeuta e docente di scienze della formazione all’Università Cattolica di Milano e riportato dal Corriere della Sera, prima del coronavirus erano almeno 100 -120 mila i ragazzi italiani che avevano deciso di isolarsi dal mondo, ma la pandemia sembra aver implementato il fenomeno. Gli esordi della chiusura si manifestano tra i 12 e i 23 anni, anche se oggi, l’età sembra si stia abbassando sempre di più, coinvolgendo anche i bambini delle elementari. Sono ragazzi che hanno paura del confronto, che si sentono inadeguati ed hanno paura di fallire. Preferiscono vivere di notte mentre tutti dormono e dormire di mattina per non partecipare “il mondo”.

Sono rimasta chiusa nella mia stanza per tre anni – si legge sul Corriere della Sera – Dormivo di giorno e stavo sveglia di notte, non facevo niente, stavo al computer, guardavo il cellulare, non avevo fame, mangiavo una volta al giorno, sempre di notte. Raramente mi lavavo, evitavo sempre di parlare con i miei genitori”.

… E ancora… “Stavo nel letto, avevo tremila pensieri in testa, mi svegliavo piangendo, non riuscivo ad alzarmi dal letto. Mi alzavo all’ora di pranzo, mangiavo quel tanto che bastava per prendere i medicinali”.

Come fare per aiutare i giovani hikikomori per uscire dall’isolamento?

Il sostegno di un esperto è fondamentale, ma anche la famiglia gioca un ruolo di primo piano.

Ascoltate i vostri figli – spiega Matteo Zanon, psicoterapeuta sul Corriere –seguite quello che fanno, sosteneteli, infondetegli sicurezza. Se loro si chiudono in stanza a giocare ai videogiochi, provate a giocare con loro, fatevi raccontare quello che sono…”.