I settori dell’educazione e della cura stanno vivendo un’emorragia senza precedenti: come frenarla?

Sotto accusa la tendenza a far gestire dei servizi educativi attraverso la partecipazione a gare d’appalto che premiano il ribasso economico e gli scarsi investimenti dello Stato sul settore

Si è svolto martedì 5 luglio, a Milano, il convegno organizzato da Caritas Ambrosiana, Forum del Terzo settore, Cnca, Alleanza delle cooperative, e Uneba dal titolo emblematico: “Il valore della cura– Tutelare e investire sulle professioni educative e sociali per garantire i diritti dei lavoratori e delle persone che si prendono cura”. Presenti all’incontro vi erano anche Diego Moretti, responsabile delle comunità di accoglienza per adolescenti AIBC e Maria Galeazzi responsabile del servizio affido e delle case famiglia di Ai.Bi.

L’importanza del “prendersi cura”

Prendersi cura degli altri, è più di un lavoro, è una vera e propria missione, un atto d’amore che dovrebbe essere sostenuto, tutelato e preservato. Eppure, come abbiamo già avuto modo di approfondire, il settore dell’educazione e della cura, sta vivendo un’emorragia senza precedenti. Gli educatori e gli operatori specializzati sono sempre meno. QUI e QUI

Solo negli ultimi mesi, sono sette, si apprende dal sito della Caritas Ambrosiana, le comunità per minori che hanno chiuso i battenti in Lombardia e sono oltre 500 i posti in case-famiglia per mamma e bambino a Milano che rischiano di restare senza gestore, solo per citare alcuni casi.

Qual è il motivo di questa “fuga” dal settore della cura?

Le motivazioni sembrano essere molte, come ribadito più volte dai relatori presenti: “contratti precari, stipendi inadeguati, percorsi formativi non sempre efficaci, maggior appetibilità di settori paralleli dell’impiego pubblico, scarsa legittimazione sociale del lavoro di cura”.

 Cosa è possibile fare?

All’interno del convegno del 5 luglio, gli operatori del settore si sono messi al lavoro per comprendere quali possano essere le forme di azione più efficaci per contrastare il problema, rispondendo ad alcune domande:

  • Come dare o ri-dare valore alle professioni di cura e ai servizi in cui operano, rivedendo le politiche di investimento e di bilancio perché questo sistema torni ad essere sostenibile?
  • Come ripensare i contratti di lavoro, perché corrispondano al valore reale di queste professioni nel garantire il bene comune e la tutela dei diritti?
  • Quale ricondivisione dei curricula formativi tra università e rappresentanti del mondo del lavoro, per una rinnovata competenza, adeguata e coerente ai bisogni delle persone di cui prendersi cura?

Recuperare una maggiore autostima del significato del lavoro di cura

Dalle relazioni presentate nel convegno è emerso come nonostante ogni anno vengano sfornati da diverse Università migliaia di nuovi educatori, il lavoro sociale pare abbia perso attrattiva. In alcuni casi, anche chi vi si approccia, trova una complessità alla quale non è preparato e che per questo motivo non riesce a gestire. Non è poi lo stipendio quella variabile che aiuta nella scelta di intraprendere e di continuare questo lavoro che, nonostante tutto, è fondamentale per la società.

Occorre recuperare una maggior autostima del significato del lavoro educativo di cura e saper essere ‘voce’ in difesa non solo delle categorie di aiuto ma anche di tutte quelle persone che beneficiano di queste professionalità. Le tendenze a far gestire dei servizi educativi attraverso la partecipazione a gare d’appalto che premiano il ribasso economico, piuttosto che la richiesta sempre più presente di una compartecipazione alle spese, sottolinea un orientamento che confonde un sapere professionale di qualità mischiato a forme di gratuità improvvisate.

È lo Stato in primis a doverci credere, investendo con risorse economiche importanti. D’altronde, non investire sul mondo minorile oggi, significa non investire su qualcosa che domani sicuramente non avremo.