Roma. Partorisce in carcere. Era in custodia cautelare

Eppure nella legge di bilancio per il 2021 sono stati stanziati fondi per la creazione di nuove case famiglia protette

Secondo i dati dell’Osservatorio Camere Penali e quelli di Antigone, riportati dall’Huffington Post, erano 60 nel settembre 2018, i minori da 0 a 6 anni custoditi, insieme alle loro mamme, all’interno delle carceri italiane o negli istituti di custodia attenuata (ICAM). A fine agosto, anche a causa del coronavirus, il loro numero è sceso a 26, sempre troppi, perché gli istituti di reclusione come ha ribadito anche Carla Garlatti, autorità garante infanzia e adolescenza: “non sono luoghi per bambini e non sono idonei ad assicurare un equilibrato sviluppo psicofisico” e non sono neanche luoghi, aggiungiamo noi, adatti ad accogliere donne in evidente stato di gravidanza, come la vicenda di Amra, 23 anni, ci ha ricordato ancora una volta.

Amra, quando a luglio è stata arrestata per furto era visibilmente incinta, al settimo mese di gravidanza. In attesa del processo, il giudice decide per la custodia cautelare in carcere e così per lei si aprono le porte di Rebibbia, a Roma. È qui, che una notte, la ragazza avverte le contrazioni del parto e da alla luce una bambina, grazie all’aiuto della sua compagna di cella, anche lei incinta. All’arrivo dei sanitari la piccola era già nata.

Partorire in carcere, nella propria cella, senza assistenza medica e senza le condizioni igienico – sanitarie necessarie lascia davvero basiti. Assieme ad Amra, anche altre due donne incinta si trovavano recluse a Rebibbia, poi scarcerate a seguito della vicenda.

L’articolo 275 del codice di Procedura Penale stabilisce che “Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente […] non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”.

“La giudice– scrive Repubblica, così come riportato dal Post – aveva deciso di applicare «la misura di maggior rigore» nei loro confronti, poiché le tre donne non lavoravano e non avevano fornito l’indirizzo di una «dimora idonea», e aveva ritenuto che le loro gravidanze non fossero un impedimento al carcere cautelare. Peraltro, l’avvocato aveva anche presentato alcuni certificati medici a testimoniare le complicazioni nelle precedenti gravidanze avute da Amra”.

Anche la Garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, si era interessata della vicenda chiedendo il suo trasferimento in una struttura protetta dedicata. Richiesta alla quale non è giunta risposta.

E potrebbe essere proprio l’implementazione e il maggior ricorso a queste strutture una delle chiavi per evitare che vicende come quelle di Amra non accadano più?

Già nel mese di giugno, l’Autorità Garante Carla Garlatti aveva richiesto con una nota, al Ministero della Giustizia e a quello delle Finanze, lo sblocco “quanto prima” di 4,5 milioni di euro “per accogliere i genitori detenuti con bambini in case-famiglia protette e in case alloggio”, un decreto che sarebbe dovuto essere adottato entro due mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio 2021.

Anche questa volta – sottolinea Marco Griffini, presidente di Ai.Bi.- tocchiamo con mano quanto sia complessa la collaborazione fra organismi pubblici e privato sociale. È necessario che, come anche la Corte Costituzionale ha recentemente sottolineato, ciascuno riconosca le professionalità dell’altro, superando l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico sia intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività legate all’accoglienza”.