Alessandria. Non un dono ma un danno da risarcire: la pretesa dei genitori di una figlia non voluta

ospedale alessandriaOggi è nel pieno dell’adolescenza, l’età “rivoluzionaria” per eccellenza. Ma il suo primo  grande atto di ribellione l’ha compiuto quando era ancora un embrione di poche settimane e decise che sarebbe venuta al mondo a tutti i costi. Nonostante i suoi genitori non la volessero e stessero provando con ogni mezzo a impedirle di nascere. La protagonista di questa storia è una ragazzina nata nel 2001, secondogenita di una coppia che, all’epoca, viveva in un piccolo comune in provincia di Alessandria. Operaio lui, addetta di un impresa di pulizie lei: insieme potevano contare su un reddito in grado di consentire una vita decorosa a entrambi e ai due figli. Non secondo loro, però, che hanno fatto causa all’ospedale di Alessandria per ottenere il risarcimento in seguito a quella nascita non desiderata.

Insomma, superati i 40 anni – età ritenuta avanzata – i due coniugi proprio non si aspettavano il secondo arrivo della cicogna. Tanto che non l’avevano messo in conto. Fu solo indirettamente, infatti, che venne alla luce lo stato di gravidanza della donna, come conseguenza della diagnosi di un fibroma. Furono gli stessi medici dell’ospedale di Alessandria a metterla in guardia sui rischi di portare avanti la gestazione. Si decise così per un intervento di raschiamento. Che fallì: l’embrione non ne volle sapere di essere asportato e rimase attaccato all’utero materno. Ma della mancata riuscita dell’operazione, al momento, non si accorse nessuno. Solo tempo dopo, e in un altro ospedale, venne confermata la gravidanza in atto. Però si era già alla 21esima settimana e l’aborto, per legge, non era più possibile.

In seguito all’ormai inevitabile nascita della bambina, il padre lasciò il suo lavoro, incassò il Tfr e trovò un altro impiego. Quest’ultimo però era a centinaia di chilometri di distanza da Alessandria, nel Centro Italia, e rese necessario il trasferimento di tutta la famiglia, con relativa richiesta di prestiti finanziari per fare fronte alle spese. Da quel momento i coniugi dovettero tirare la cinghia, fare sacrifici, rinunciare agli svaghi del tempo libero, ai week end fuori porta, alle uscite con gli amici. Tutta colpa, secondo loro, di quell’aborto malriuscito.

Così la donna decise di chiedere un risarcimento al medico che aveva effettuato l’inefficace raschiamento e all’ospedale in cui l’intervento era avvenuto. Ne ottenne il riconoscimento di una somma risarcitoria.

Nel 2008, però, anche il padre della ragazzina si “ricordò” di aver subito un danno psico-fisico in seguito a quella nascita indesiderata che aveva dovuto accettare per forza. Da qui, ecco un nuovo ricorso all’ospedale per ottenere un “risarcimento dei danni da nascita indesiderata” che, in una famiglia monoreddito, avrebbe comportato ripercussioni “sulla vita di relazione”, sconvolgendo “l’esistenza privata e lavorativa come era stata programmata” dai coniugi.

Sia il giudice di primo grado, ad Alessandria, che la Corte d’Appello, però, hanno bocciato la richiesta: non era stato provato concretamente che l’uomo volesse davvero che la moglie abortisse, “tanto che poi la figlia è nata”, affermano i giudici. “Ma è nata per via dell’errore medico e dei mancati controlli successivi – replicano i legali della coppia – che, dopo, hanno reso impossibile eseguire un aborto entro i tempi consentiti”.

Ora la questione è nelle mani della Corte di Cassazione. Che potrà emettere una sentenza definitiva. Ma di certo non potrà fare la cosa più difficile: spiegare alla ragazza che il fatto che lei sia nata non è stato considerato una gioia per i suoi genitori, ma un danno da risarcire.

 

 

Fonte: La Stampa