Maternità surrogata in Nepal: per 4 mila euro si “acquista” un figlio su misura

madre surrogataA chi non è capitato almeno una volta, dopo aver fatto la spesa, di essersi trovati un prodotto diverso da quello desiderato? Se accade al supermercato, poco male. Ma quando il “supermercato” è quello dei bambini, le conseguenze sono drammatiche. Effetto della fecondazione eterologa e del mercato selvaggio degli uteri in affitto che, specie in alcuni Paesi poveri, diventa fonte di sostentamento per tante donne che affittano il proprio ventre per “produrre” ciò che gli viene richiesto dal committente, ricco, di turno.

Un vero e proprio mercato che sembra non tenere conto che si “gioca” con la vita di bambini, neonati, che non hanno alcuna voce in capitolo e non sono in grado di difendersi. Ma già vittime dei capricci degli adulti e del dio denaro. Perché per questo prestano il proprio ventre le donne povere dei Paesi disastrati e grazie a questo (il denaro) ci si può permettere di spendere da poche a diverse migliaia di euro/dollari per “ordinare” il figlio.

Una pratica esplosa in Nepal soprattutto dopo il terremoto che lo ha sconvolto lo scorso 25 aprile, sollevando un velo su un traffico di bambini, sordido ma legale. Il Paese ai piedi dell’ Everest è da tempo meta preferita di coppie che affittano l’utero di donne straniere per avere figli. Il Nepal è, insomma, diventato un produttore di bambini per ricchi.

La grande fabbrica, chiaramente, resta l’India. Il paese trabocca di cliniche che assumono donne poverissime da usare come ventri. Madri e padri del mondo ricco mandano fin lì i loro embrioni, e dottori del posto li impiantano nell’utero di una donna locale che, mettendo il suo corpo a produrre a tempo pieno per nove mesi, guadagna quello che non riuscirebbe a guadagnare in molti anni di lavoro, se ne avesse uno: circa quattromila euro.

Per lo stesso “lavoro” una donna statunitense ne può guadagnare quarantamila, e il prezzo totale di un bambino “made” in Usa si aggira sui novantamila euro; in India se ne può avere uno per dodicimila euro. Insomma veri e propri tariffari a seconda delle preferenze e delle etnie.

Cliniche che somigliano sempre di più a una catena di montaggio:  la donna che affitta il suo ventre riceve un embrione fertilizzato da un ovulo che può essere della madre (o no) e sperma che può essere del padre (o no). Se ci sono donatori, sono chiaramente anonimi, ma uno non vale l’altro: il contributo di un professionista modello o di una modella professionale costa molto di più di quello di una persona qualunque, perché produrrà bambini più belli o più intelligenti. Il design arriva ovunque.

A rendere tutto ciò possibile leggi sulla maternità surrogata confuse. Imprenditori e utenti sfruttano i vuoti legislativi di una prassi troppo nuova per essere ben regolata dalla legge. Ma più di un anno fa il governo indiano ha proibito ai single e alle coppie gay di ricorrere alla maternità surrogata, e questa crisi è diventata un’opportunità per il Nepal: un mercato, una nicchia. E così a Kathmandu, le fabbriche di maternità per conto terzi sono spuntate come funghi: ce ne sono già più di una decina. Il governo non si intromette se la transazione avviene tra stranieri, e le cliniche assumono donne indiane o bengalesi per usare i loro ventri. La tendenza è in aumento ma non esistono cifre globali: molti di questi bambini non sono registrati in modo chiaro all’anagrafe e nessuno sa quanti se ne producano ogni anno nel mondo.

E intanto si è creato un nuovo mercato, uno dei più umilianti che si possa immaginare.

Fonte: http://www.internazionale.it/