Musavuli (Rdc): “Per fare aiutare l’Africa a credere nell’adozione internazionale i Paesi d’accoglienza rispettino le sue leggi”

martin-okende-interventoMilioni di bambini vittime di un pregiudizio culturale. E la necessità che i Paesi di accoglienza aiutino quelli di origine a credere nell’adozione internazionale, offrendo loro garanzie di rispetto delle loro regole. Si può sintetizzare così la situazione dell’adozione internazionale in Africa secondo l’avvocato Martin Kasereka Musavuli Okende, uno dei più importanti esperti del settore per il suo continente. Intervenendo mercoledì 26 agosto al convegno “Adozione internazionale in cerca di futuro. La scelta politica dell’accoglienza”, organizzato da Amici dei Bambini  a Gabicce Mare, Musavuli ha tracciato un quadro dell’adozione in Africa e in particolare nel suo Paese, la Repubblica Democratica del Congo.

“Molto spesso – spiega Musavuli a Gabicce – le adozioni internazionali scontano il pregiudizio di essere assimilate a pratiche lontane da poter essere considerate strumenti di protezione dell’infanzia”. Nonostante la Repubblica Democratica del Congo sia tra i Paesi africani ad aver ratificato la Convenzione dei Diritti del Fanciullo, firmata a New York nel 1989, ancora oggi non riesce ad assicurare una efficiente tutela dell’infanzia e ad attivare adeguati meccanismi di protezione.

“La Repubblica Democratica del Congo è un Paese relativamente giovane nel campo delle adozioni internazionali – ricorda l’avvocato, attivo nella regione del Nord Kivu -. A Goma, per esempio, il primo Tribunale per i minorenni è stato istituito nel 2011, ma in quell’anno non ha trattato alcun caso di adozione. Al 2012 risale il primo tavolo sull’adozione internazionale istituito dal ministero del Genere e della Famiglia, nato con lo scopo di potenziare la cultura dell’adozione. Dello stesso anno sono le prime sentenze di adozione, a favore di coppie soprattutto statunitensi, ma anche italiane. I bambini adottati sono aumentati fino al settembre 2013, quando la Direzione Generale delle Migrazioni (Dgm) ha deciso la sospensione”.

Oltre al pregiudizio culturale, ricorda Musavuli, c’è una serie di altri fattori che grava sull’infanzia africana: dalla storia alle dinamiche politiche, dalla grandezza del territorio ai sistemi di protezione sociale a volte inesistenti. Il risultato è che milioni di bambini si trovano per strada, abbandonati anche dallo Stato, “che non si mette in gioco nella tutela dei minori”.

In Congo, fino al 2008, non esisteva una vera giurisprudenza sulle adozioni internazionali. “A partire da quella data – prosegue l’avvocato – si è cercato di introdurre il concetto di adozione costruendo una giurisprudenza fondata sul superiore interesse del minore”.

Molti Paesi africani che non hanno delle leggi in materia, le stanno di fatto costruendo a partire da una serie di buone prassi. È  a queste realtà che i Paesi d’accoglienza devono correre in aiuto, cominciando ad assicurare il rispetto delle loro regole. Solo così, quegli Stati che ancora diffidano dell’adozione internazionale potranno cominciare a credere davvero in questa forma di accoglienza.

In una tale situazione, afferma Musavuli, “non possiamo accettare che la morte o l’istituto siano l’approdo finale dei bambini abbandonati. Bisogna intervenire innanzitutto sulla cultura, facendo capire alla società africana che cosa sia l’adozione internazionale e inducendo i vari Paesi ad avere fiducia in essa, senza perdere altro tempo. L’orfanotrofio e la strada non sono i luoghi in cui un bambino può esprimere la propria personalità. Quel luogo può essere solo la famiglia.