Il Signore ci chiederà conto delle nostra scaltrezze: ecco perché Gesù ci invita a imparare a fare il bene

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In occasione della XXV Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Amos (Am 8,4-7), della Prima Lettera di san Paolo apostolo a Timoteo (1Tm 2,1-8) e del Vangelo secondo Luca (Lc 16,1-13).

 

Della Parola di Dio di questa domenica, in particolare il Vangelo, tutto si può dire meno che sia scontata. Anzi, è una Parola particolarmente strana e sorprendente.

Vi si racconta di un amministratore disonesto, un uomo ‘furbo’, furbastro, che non è certo un esempio da seguire o da imitare.

Quest’uomo viene chiamato a rendere conto della sua amministrazione: dunque, o aveva già più volte e ripetutamente rubato, che è la cosa più verosimile, oppure oltre che disonesto era anche un fannullone, che non si impegnava nel suo lavoro di amministratore.

Ad ogni modo, subito dopo l’avviso del licenziamento, quest’uomo dà prova di grande abilità e scaltrezza. Fa un ragionamento molto semplice riguardo al suo futuro: «zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno.  È un’analisi e una diagnosi molto lucida di sé. Quest’uomo conosce bene i suoi limiti e le sue possibilità. Lavori manuali, non li sa fare. E poi ha ancora un minimo di dignità, perché si vergogna di mendicare, approfittando del lavoro degli altri!

Allora, con grande astuzia, mette in atto una strategia immediata e concreta.

Subito, prima di essere licenziato, chiama «uno per uno i debitori del suo padrone».

A ciascuno chiede quale sia il suo debito: a qualcuno lo dimezza e a qualcun altro lo riduce in modo consistente. Così, quest’uomo sa che, dopo la fine del suo lavoro, ci sarà qualcuno che lo accoglierà in casa sua.

Gesù conclude la parabola con parole molto chiare, che evitano qualsiasi fraintendimento: il padrone non ha lodato quell’amministratore disonesto per la sua disonestà, ma per la sua scaltrezza, per la sua capacità di destreggiarsi in una situazione difficile e irta di problemi.

Che la Parola di Gesù, la Parola di Dio, non ci inviti affatto alla disonestà, lo sappiamo, ma ce lo ricorda in particolare la prima lettura, a scanso di equivoci.

In modo molto chiaro il profeta Amos si rivolge ai commercianti e agli imprenditori del suo tempo che studiavano i tempi e i modi per imbrogliare meglio i loro clienti: usavano, a questo scopo, anche «bilance false», vendevano «anche lo scarto del grano».

Ecco, è a questi ‘furbi’, dice il profeta, che il Signore chiederà conto, uno per uno, di tutte le loro azioni, di tutti i loro imbrogli. Dovranno rispondere a Dio.

Allora, è evidente che la Parola del Signore non ci spinge ad approfittare delle debolezze e delle necessità altrui. È vero l’esatto contrario!

Infatti, Gesù aggiunge, alla fine della parabola del Vangelo: «i figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».

È chiara qui la provocazione che Gesù ha voluto suscitare; raccontando una parabola così sorprendente, vuole colpire la nostra fantasia e la nostra immaginazione per dirci: “vedi come si comportano le persone disoneste? Pensano notte e giorno a come imbrogliare gli altri. Le studiano tutte pur di fare i loro esclusivi interessi!

Impara da loro a pensare, notte e giorno, a come fare il bene! Tu, sei figlio della luce, uno che non ha bisogno di far le cose di nascosto, e nel tuo agire stai attento e sii deciso a trovare tutti i modi più saggi per essere figlio della luce, un uomo buono e limpido”.

Ma il Vangelo continua ancora, con delle parole che dobbiamo leggere dalla fine per comprendere bene.

Sembrerebbe che Gesù ci inviti a «farci degli amici con la ricchezza disonesta» per essere da loro accolti «nelle dimore eterne». Evidentemente qui Gesù non ci chiede di rubare ai ‘ricchi’ per dare ai poveri, come faceva Robin Hood; non ci chiede di usare i soldi ‘sporchi’ per raggiungere il cielo!

Alla fine il Vangelo pone un’alternativa netta: un servitore che pretenda di «servire due padroni», … «odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro».  È evidente: uno non può lavorare per due ditte concorrenti o non può giocare in due squadre nello stesso campionato. Non si può tenere il piede in due scarpe.

E qui Gesù stabilisce una netta alternativa tra «Dio e la ricchezza».

Notate che Gesù non dice ‘tra Dio e il denaro’. Il denaro è necessario per vivere. È il frutto del nostro lavoro. È un riconoscimento della fatica, dell’impegno, della competenza. Il denaro non è una cosa sporca.

Gesù parla della «ricchezza», non semplicemente del denaro. L’espressione – l’antica traduzione conservava il termine mammona – fa riferimento al ‘denaro’ accumulato in modo ingordo. Allora il denaro diventa una trappola: diventiamo schiavi del desiderio di avere sempre di più.

In questi giorni la televisione italiana ha presentato una discutibile trasmissione che parlava di italiani ricchi e stra-ricchi che del lusso e del denaro fanno esibizione sfrenata. Gente apparentemente felice perché accumula, sempre di più, come se un uomo o una donna accumulando diventassero felici.

Che meschina illusione! È un’autentica trappola.

È da questa vera schiavitù che ci mette in guardia il Vangelo di Luca.

“Stai attento, ci dice Gesù, a non far diventare il denaro il tuo ‘dio’”.

Da qui infatti vengono infiniti mali: la corruzione, lo sfruttamento, la cattiva politica. Saltano le ‘amicizie’ e i rapporti veri tra le persone, quando tutto è finalizzato ad accumulare denaro e ricchezza.

Al contrario, Gesù ci invita a ‘farci’ degli amici con la ricchezza perché non sia più ‘disonesta’. Se impariamo a lavorare e a guadagnare senza chiudere gli occhi sui bisogni e le necessità di chi ci sta accanto, allora stiamo accumulando la ricchezza vera.

Cade allora a proposito, oggi, questa domenica in cui tutte le offerte raccolte in chiesa saranno destinate alle popolazioni vittime del terremoto nel Centro Italia.

È un modo, tra i tanti, oggi però particolarmente urgente, per non essere vittima dell’egoismo cieco di chi cade nella trappola di una ricchezza che non basta mai e impara invece a condividere e a trovare gioia, fin d’ora, nel fare all’altro quello che vorrebbe che l’altro facesse a lui!