La nostra vita è piena di incroci che ci chiedono quale strada prendere: come scegliere la via giusta?

sacerdotiIn occasione della II Domenica del Tempo Ordinario, la riflessione del teologo don Maurizio Chiodi prende spunto dai brani del libro del profeta Isaia (Is 49, 3.5-6), della prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1 Cor 1,1-3) e del Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,29-34).

 

Oggi, seconda domenica del tempo ordinario, si incrociano diversi motivi di riflessione, di preghiera, di meditazione aperta all’azione.

In tutto il mondo, la Chiesa Cattolica celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, un tema di drammatica attualità e anche oggetto di grandi discussioni, polemiche e dibattiti politici, un tema che, come sappiamo, sta anche particolarmente a cuore a papa Francesco.

Quest’anno il papa ha scritto un messaggio per questa giornata, invitando tutti a riflettere su un aspetto particolarmente drammatico: quello dei “Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce”.

Un secondo motivo che rende particolare questa domenica è che essa è la seconda del cosiddetto tempo ordinario, che è quella parte del tempo liturgico nella quale, a ciclo, ogni anno leggiamo, quasi interamente, uno dei tre Vangeli sinottici: quest’anno ascolteremo e mediteremo il Vangelo di Matteo, anche se oggi, per eccezione, abbiamo letto una pagina del Vangelo di Giovanni, che ci introduce nel cammino di quest’anno, attraverso la figura di Giovanni Battista.

Infine, questa domenica è particolare perché noi, nel nostro vicariato celebriamo la giornata annuale del seminario.

Quest’anno, qui a Dalmine, non ci sarà, per la predicazione, un seminarista studente di teologia, come è sempre stato fino ad oggi. Non ci sarà per un semplice motivo: perché i seminaristi, anche nella nostra diocesi, come in tutta Italia, e quasi in tutto il mondo occidentale, sono drammaticamente calati.

E così, anche Bergamo, una diocesi tradizionalmente molto ricca di preti, stanno rapidamente diminuendo i preti giovani, e quindi il numero complessivo di sacerdoti impegnati attivamente nel ministero.

Certo, rispetto a tantissime diocesi del mondo, noi siamo ancora molto ricchi di preti, ma non possiamo chiudere gli occhi su una realtà che sta cambiando a ritmo vertiginoso.

La diminuzione del numero dei preti non è un problema solo quantitativo e non è cosa che riguarda solo i preti.

In effetti, il servizio dei preti è rivolto a tutta la comunità cristiana e, nella comunità, è ‘ordinato’ alla cura della fede di ciascun battezzato.

Questo è il compito di ogni prete: prendersi cura della fede dei suoi fratelli. Il prete cresce nella sua fede mettendosi a servizio della fede degli altri credenti!

Il prete non è un solista, ma è un corista: nella polifonia delle voci che cantano oggi il Vangelo di Dio, il compito di ogni prete è di cantare la lode di Dio, insieme agli altri, facendo in modo che si possa davvero cantare insieme in un coro di voci, in cui ciascuno si mette in sintonia con gli altri.

In un certo senso, ogni prete è un corista a cui, ad un certo punto, è stato chiesto – e in questo riconosciamo una chiamata di Dio! – di rendersi disponibile a ‘dirigere’ il coro, perché tutti possano cantare insieme e rendere lode e testimonianza a Dio con il proprio canto!

È chiaro che, allora, i preti non nascono come funghi, all’improvviso o come per miracolo. Sono il frutto di una vita di chiesa, nella quale ciascuno ha un compito unico, importante e insostituibile.

È evidente che, diminuendo la partecipazione di tutti, diminuisce anche la disponibilità di qualcuno a svolgere il ministero del presbitero!

La ‘crisi’ delle vocazioni sacerdotali è uno dei segni indicatori di una crisi anche della intera comunità cristiana.

‘Crisi’ non significa, anzitutto, qualcosa che non va, ma qualcosa che non va automaticamente, spontaneamente, abitudinariamente.

Un tempo di crisi è un tempo nel quale le trasformazioni e i cambiamenti ci chiedono di scegliere e di decidere. È come quando arriviamo ad un bivio in cui ci si impone una scelta.

Certo, la vita è piena di questi incroci, di rondò, che ci chiedono di scegliere, di decidere che strada prendere. Ma oggi questo è particolarmente vero e attuale!

Per tornare all’esempio del coro, dobbiamo oggi scegliere come cantare la musica di Dio nel tempo presente.

Ciascuno di noi ha un compito determinante, dai genitori ai catechisti, dagli animatori di oratorio ai nonni, dai preti a chi è un po’ più lontano e guarda quasi di fuori alla vita della comunità, dai giovani ai bambini, impegnati in vari modi nei gruppi giovanili o nella catechesi.

Ma da dove dobbiamo trarre ispirazione, per riflettere su tutto questo se non a partire dalla Parola di Dio?

Quando partecipiamo all’Eucarestia, il momento più alto e significativo della comunità cristiana, perché è il momento in cui noi ci raduniamo a celebrare, grazie al prete celebrante, la memoria della Pasqua di Gesù, la memoria del suo dono di grazia, ecco, quando partecipiamo all’Eucarestia noi leggiamo sempre, ogni giorno e particolarmente la domenica, alcuni brani della Parola di Dio, che si riferisce sempre tutta a Gesù, che è la Parola di Dio fatta carne.

L’ascolto di questa Parola ci interpella, ci chiede di rispondere, nella nostra vita di tutti i giorni, a questa Parola.

Ecco, oggi, questa Parola, nel Vangelo di Giovanni, incomincia con la figura di Giovanni Battista che, «vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”».

Questa è la Parola che ogni prete, nella liturgia, ripete subito prima della comunione, indicando e alzando sotto gli occhi di tutti il pane consacrato, che è il corpo di Gesù, insieme con il vino consacrato, che è il corpo di Gesù donato per noi fino all’effusione del sangue, fino alla morte di croce.

Giovanni Battista, indicando Gesù come l’agnello di Dio, si richiama alla pasqua ebraica, nella quale le famiglie ebree ricordavano la notte in cui erano stati liberati dall’Egitto, dalla condizione di schiavitù, e il sangue dell’agnello, che segnava gli stipiti delle loro porte, li aveva salvati dallo sterminio.

Così, dicendo che Gesù è «l’agnello di Dio», Giovanni (con Giovanni Battista) ci dice che Gesù prende su di sé, togliendola, spazzandola via, questa oscurità, questa tenebra notturna, questo ‘male’ che ha invaso, per nostra decisione, tutto il mondo.

Gesù entra nella storia per intonare un canto nuovo, per cantare l’amore gratuito di Dio, che dona se stesso a noi, per amore|

Il profeta Isaia, nella prima lettura, che è una parte del secondo bellissimo canto del Servo di Javhè, parla di un «servo», Israele, nel quale il Signore manifesterà la sua gloria.

Questo servo è sicuramente Gesù. È lui che si fa ‘servo’, si mette a nostro servizio, per essere per noi «luce» e «salvezza fino all’estremità della terra».

Di questo oggi la Chiesa è testimone.

Di questo annuncio, oggi, nella Chiesa, ogni prete si fa «apostolo» e annunciatore come dice Paolo, nella seconda lettura.

Preghiamo oggi il Signore perché non faccia mancare apostoli nella sua Chiesa|