Adozione internazionale. Pubblico=statale=buono: una rigida equivalenza impropria e superata

la notte delle adozioniPensavamo fosse scontato, ma pare necessario ritornare sul tema. Ancora una volta, forse tentati dalla cronaca o sollecitati dall’occasione, qualcuno si è cimentato nel riproporre e riabilitare una visione, pensavamo rottamata, di “pubblico” come riferibile a servizi esclusivamente assicurati o erogati dallo Stato (o dagli altri enti che costituiscono la nostra Repubblica) e quindi automaticamente – magicamente – in grado di essere efficienti, trasparenti, capaci, accessibili….

Così per il sistema delle adozioni internazionali si ritiene che la sola struttura statale o regionale sia qualificabile come “pubblica” mentre gli Enti, non a gestione statale, i cosiddetti “privati”, finiscono per essere frettolosamente tutti liquidati come incapaci, animati da subdoli interessi, dediti al solo profitto economico, lestofanti, ladri, truffaldini…

Assomiglia, per certi versi, alla tribolata storia del Sistema Nazionale di Istruzione italiano (L. 62/2000) che, con buona pace del lungimirante ministro L. Berlinguer, fatica ancora oggi ad essere capito e rispettato: un sistema pubblico che si dovrebbe comprendere alla luce del principio di sussidiarietà e sul fondamentale riconoscimento della parità dei diversi soggetti che concorrono ad assicurare un servizio di eccellenza e accessibile, nel rispetto della libertà di tutti.

Certo deve essere superata l’obsoleta, poiché smentita dalla storia, visione che contrappone statale a privato ed etichetta quest’ultimo, spesso strumentalmente, come incapace, spesso in conflitto di interesse, quasi sinonimo di malavitoso.

Infatti sono chiari sia il profilo del Sistema d’istruzione, sia quello del sistema sanitario: spesso le scuole paritarie e gli ospedali non statali convenzionati (i.e. Humanitas, IEO, HSR, per restare solo nel milanese…), erogano un pubblico servizio in modo eccellente, con alta professionalità e competenza; le inadempienze, gli sprechi e le criticità sono purtroppo distribuite ovunque e gli enti a gestione statale, è triste doverlo ricordare, spesso primeggiano in tal senso e sono protagonisti da non imitare.

Anche per il Sistema italiano delle Adozioni internazionali, il legislatore ha inteso positivamente intraprendere questa buona strada, individuando negli Enti autorizzati quei soggetti titolati (attrezzati, preparati e competenti), ad erogare un pubblico servizio agli aspiranti genitori adottivi, ai minori in stato di adottabilità e alle famiglie adottive nell’articolato iter adottivo che vede coinvolti anche i Servizi territoriali ed i Tribunali per i minorenni, oltre che le Autorità dei Paesi di origine dei minori e l’Autorità centrale italiana (CAI).

Individuare nei soli Enti Autorizzati – quelli impropriamente chiamati “non pubblici” poiché non a gestione statale o regionale – la causa dell’attuale disastrosa situazione delle adozioni internazionali in Italia e sollecitare una radicale riforma solo degli Enti stessi, suggerendo come modello una sola tipologia di Ente (a gestione regionale o statale), è operazione ideologica e certo da stigmatizzare.

Certo chi truffa, sbaglia o agisce illegalmente o senza rispettare le norme deve essere denunciato e indagato, ma onestà intellettuale suggerirebbe di porre anche in critica evidenza, proponendo sostenibili soluzioni e coerenti opzioni, le drammatiche condizioni in cui versa, ben oltre le pubbliche menzogne e le insinuazioni di comodo, la “sicuramente statale e governativa” Commissione per le Adozioni Internazionali (trasformata da organo collegiale a dispotico impero individuale), per non parlare delle “fatiche”, delle inadempienze nonché delle creative soluzioni cui sono sottoposti molti dei Servizi territoriali e dei Tribunali per i minorenni.

Il sistema italiano per le Adozioni Internazionali è stato concepito con un profilo ancora assolutamente valido e da custodire, non da demonizzare e smontare: certo può e deve essere migliorato, ma occorre che tutti i soggetti coinvolti (enti autorizzati, servizi territoriali, tribunali e CAI) oltre ad essere verificati e controllati, nessuno escluso (come ogni altro pubblico servizio), siano posti nelle condizioni di poter svolgere le proprie attività con eccellenza, trasparenza, accessibilità, professionalità, avendo a cuore l’esclusivo interesse dei bambini in stato di abbandono da un lato e delle famiglie disponibili ad accoglierli dall’altro.

Ogni organismo istituzionale o ente chiamato ad assicurare un pubblico servizio non può essere oggetto di sequestro politico o gestito in modo “creativo” e certo non tramite attività illecite (andrebbe senza titubanze perseguito): per le stupende famiglie delle adozioni internazionali le nostre attuali istituzioni non sembrano essere particolarmente sensibili (forse preferiscono un banale “tanto peggio, tanto meglio”) e anche certa stampa pare sicuramente miope se non “addomesticata”.

Gianmario Fogliazza (Centro Studi di Ai.Bi.)