Lazio, pillola abortiva distribuita nei consultori. Il Vicariato di Roma: “Così si lascia la donna sola nel suo dramma”

abortoIn Lazio presto l’aborto sarà possibile anche nei consultori famigliari dove potrà essere somministrata la pillola Ru486. Lo stabilisce un provvedimento del governo regionale che il 16 marzo ha istituito un “tavolo tecnico” con l’obiettivo di elaborare un progetto, attivo da maggio, “per l’attivazione in fase sperimentale, della durata di 18 mesi, per eseguire l’interruzione volontaria di gravidanza in regime ambulatoriale presso alcuni consultori funzionalmente collegati con strutture ospedaliere”. In sostanza, c’è il rischio che i consultori vengano ridotti a distributori di pillole abortive, nell’ambito di un progetto centrato sulla contraccezione.

Una decisone, quella della Regione Lazio, che suscita “profondo sconcerto e forte preoccupazione”, scrive il Vicariato di Roma in una sua nota del 6 aprile, perché veicola il messaggio dell’aborto facile in un contesto di finta umanizzazione e rappresenta un passo ulteriore nella diffusione di una cultura della chiusura all’accoglienza della vita umana e della deresponsabilizzazione etica”.

La nuova decisione del governo regionale si inserisce sulla stessa linea di altre del recente passato: da quella del giugno 2014 sui limiti all’obiezione di coscienza negli stessi consultori a quella del febbraio 2017 sul concorso per soli ginecologi non obiettori al San Camillo di Roma. La facilitazione dell’aborto non trova tuttavia giustificazione neppure nei numeri: negli ultimi 11 anni le interruzioni volontarie di gravidanza in Lazio sono calate del 41%, scendendo dalle 16.238 del 2004 alle 9.617 del 2015.

La realtà – evidenzia il Vicariato – è che “i consultori sono ormai quasi privi di personale e molti versano in stato di abbandono, ben lontani dall’offrire la dichiarata ‘assistenza multidisciplinare’ e faticano ad assolvere al loro compito di sostegno, informazione e presa in carico della donna di fronte a una decisione sempre drammatica”.

La decisione della giunta laziale, denuncia invece il Vicariato, sembra piuttosto sottovalutare “i rischi sanitari e la mortalità connessi all’utilizzo della pillola abortiva, notevolmente superiori a quello dell’aborto con procedura chirurgica. La stessa legge 194, nell’articolo 8, prevede che l’aborto avvenga in regime di ricovero a tutela della salute della donna”.

“Il ricovero ospedaliero – spiega il Vicariato di Roma – non è un ‘fatto ideologico’, ma è necessario per la sicurezza della donna. Piuttosto è ideologico spacciare come ‘riorganizzazione della rete sanitaria della Regione Lazio’ l’introduzione della Ru486 nei consultori, distraendo l’attenzione mediatica dalle reali priorità della sanità laziale quali l’assistenza domiciliare che non decolla, i pronti soccorsi intasati, le infinite liste di attesa, la mancata presa in carico degli anziani e dei disabili”.

L’aborto è una sconfitta per tutti e “nella solitudine delle pareti domestiche”, questa esperienza, “propagandata come facile e sicura”, “diventa ancora più devastante e dolorosa”. Il Vicariato chiede quindi alle autorità regionali di riconsiderare la sua decisione “che avrebbe come vero risultato apportare un ulteriore danno alla percezione del valore della vita umana come bene comune e lasciare una volta di più la donna sola ad affrontare il dramma dell’aborto”.