La scuola dopo il Coronavirus? La didattica a distanza resterà. Lo sostiene Giuseppe Bertagna

Il pedagogista sul rientro in classe: “Una cosa è certa: non riapriremo il 18 maggio. E forse nemmeno a settembre”

La scuola dopo il Coronavirus? Mentre in Danimarca le aule tornano oggi ad accogliere gli alunni, anche in Italia potrebbe non essere più quella di prima e la didattica a distanza potrebbe restare. Lo sostiene il pedagogista Giuseppe Bertagna dell’Università di Bergamo, già consulente del ministro Letizia Moratti, nei primi anni duemila: “Sarebbe un errore considerare questa interruzione della scuola in presenza come una parentesi, pensando di poter riprendere tutto esattamente come prima, una volta cessata l’emergenza. Se pensassimo questo avremmo perso l’ennesima occasione di innovare la scuola italiana”.

“Se fosse stata messa in campo già da allora una coerente strategia – prosegue Bertagna – oggi non ci troveremmo in questa situazione di piena emergenza”. La scuola del futuro, invece “sarà un mix di presenza e distanza. Con la didattica a distanza si deve favorire la cooperazione tra gli studenti, che useranno la rete ma, soprattutto, faranno rete tra di loro e con gli insegnanti. La scuola in presenza, invece, dovrà favorire percorsi personalizzati e un rapporto diretto tra allievo e maestro. L’idea che tutti debbano fare gli stessi percorsi, fondata su un astratto principio di uguaglianza, ha prodotto le gravissime disparità, sociali e territoriali, che tutti conosciamo. Una dose maggiore di flessibilità farà bene alla scuola”.

Già, ma quando riapriranno le scuole? In Francia si parla dell’11 maggio, in Italia addirittura di settembre… “Non è tanto una questione di date – spiega Bertagna -, ma di visione. In Francia, ma anche in Germania e in Danimarca, la politica si è assunta un’esplicita responsabilità sociale. Da noi si amministra il giorno per giorno. Una cosa è certa: non riapriremo il 18 maggio. E forse nemmeno a settembre. Tornare in classe a dicembre o gennaio sarebbe già un successo. Ma anche questo ragionamento è figlio di una logica sbagliata. Quella che si fonda sul centralismo, per cui tutti devono fare le stesse cose, allo stesso modo e nello stesso tempo, dalle Alpi alla Sicilia. Il buon senso, invece, direbbe di provare a riaprire gradualmente, a macchia di leopardo. Dove è possibile, dove non ci sono stati e non ci sono contagi, e soprattutto dove si predispongono monitoraggi periodici, perché non si può tornare a scuola senza tutte le precauzioni? Perché negare questo diritto fondamentale a tanti bambini, penso soprattutto a quelli più piccoli, dell’infanzia o primaria, che stanno vivendo questi momenti di rottura delle relazioni con disagio? Con altri 150 accademici, ho firmato un appello al governo affinché consideri la progressiva adozione di misure alternative all’isolamento domiciliare generalizzato”.

Scuola dopo il Coronavirus: didattica a distanza non sarà parentesi

“Mi sorprende – ha detto di nuovo Bertagna – che nessuno abbia ancora detto ai genitori che, in questi giorni, dovranno riprendere il lavoro, che cosa faranno i loro figli. Magari per i prossimi cinque mesi. Ma vogliamo renderci conto che la didattica a distanza non sarà una parentesi ma che diventerà parte integrante della scuola italiana? O pensiamo davvero che, con la necessità di mantenere le misure attuali ancora per chissà quanto tempo, la classe possa essere ancora il modello organizzativo della nostra scuola? Se vogliamo convivere con le nuove regole, dobbiamo ragionare anche per gruppi piccoli, magari a rotazione. Invece, mi pare che si stia tentando di riprodurre a distanza la stessa logica della scuola in presenza”.