Cina: la speranza di una prossima riapertura delle frontiere è collegata a un problema di percentuali

La Cina è ferma da mesi nella sua politica di totale chiusura dei confini per la lotta al Covid. Ora, forse, qualcosa comincia a muoversi: l’obiettivo potrebbe essere una graduale riapertura quando la campagna vaccinale sarà all’85%

La Cina è un Paese da cui è notoriamente difficile avere notizie certe. Anche nel caso della pandemia, ci sono voluti mesi per provare a capire come il virus si fosse sviluppato e diffuso inizialmente (e ancora non si hanno sicurezze in tal senso), mentre qualcosa di più abbiamo capito delle politiche di chiusure e limitazioni messe in atto per stroncarne la circolazione. Anche se a oggi rimangono ancora dei grossi punti di domanda su quando queste restrizioni, che hanno portato alla chiusura delle frontiere, verranno allentate.
Prova a fare un po’ di chiarezza un articolo di Fortune, firmato dal giornalista Grady McGregor, che riporta come il governo cinese sembrerebbe aver stabilito una tempistica di massima per l’allentamento delle misure contro il virus.

Decisive le vaccinazioni: possibili riaperture con l’85% di popolazione coperta

Finora, infatti, l’obiettivo primario delle politiche anti Covid in Cina è stato quello di eliminare ogni singolo caso di Covid-19 che si è manifestato: le misure adottate sono ancora oggi fondamentalmente le stesse prese per contenere il primo focolaio scoppiato a Wuhan, ovvero chiusura totale dei confini e spostamenti interni consentiti solo dopo aver scontato severe quarantene obbligatorie da 14 a 21 giorni. “Quando il virus riesce a penetrare nel Paese – si legge su Fortune – il governo cinese implementa blocchi di quartiere o di intere città, test di massa e misure intensive di tracciamento dei contatti per trovare infezioni e fermare i focolai”.
Una politica, questa, che finora non ha concesso deroghe, nonostante i contagi sembrino abbastanza sotto controllo. Secondo Zhong Nanshan, uno dei principali epidemiologi e consiglieri del governo cinese che ha rilasciato un’intervista al giornale di Guangzhou Southern Weekly, il motivo è che la campagna vaccinale non ha ancora raggiunto l’80%-85%: un primo indizio di come le riaperture potrebbero cominciare al raggiungimento di tale soglia.
Un obiettivo che potrebbe essere distante solo pochi mesi, se non settimane – stima McGregor: “La Cina ha vaccinato completamente il 74,8% della sua popolazione, mentre l’82,5% dei cittadini cinesi ha ricevuto almeno una dose di vaccino. Zhong non ha detto quanto velocemente la Cina potrebbe riaprire una volta raggiunta la copertura vaccinale dell’80%-85%, ma ha stimato che al ritmo attuale della Cina, oltre l’80% della popolazione sarebbe completamente vaccinata entro la fine di quest’anno”.

Cambierà davvero l’approccio della Cina al Covid o le “chiusure” diventeranno la prassi?

Il dubbio che rimane agli osservatori esterni è quanto davvero la Cina sia disposta a cambiare il suo approccio contro il Covid basato sulle chiusure, dati i buoni risultati ottenuti. Il fatto che alle prossime Olimpiadi invernali di Pechino non saranno ammessi spettatori stranieri è piuttosto indicativo, così come il fatto di aver previsto in alcuni luoghi, come la città di Guangzhou, strutture centralizzate per la quarantena da 260 milioni di dollari e 5.000 stanze per ospitare i viaggiatori in arrivo. Davvero le severe restrizioni potrebbero diventare lo scenario “abituale” per chiunque voglia entrare in Cina?
Secondo Zhong, no, perché “i costi del mantenimento delle misure potrebbero alla fine superare i benefici per la salute… La COVID-19 è una malattia globale che richiede alla Cina e al resto del mondo di lavorare insieme e sconfiggerla”.

D’altra parte, i costi di queste politiche continuano ad aumentare a ogni nuovo focolaio. “Ad agosto – riprende l’articolo di Fortune – gli analisti di Goldman Sachs, Nomura e altre banche hanno declassato le previsioni del PIL cinese a causa dell’ondata di Delta in luoghi come Guangzhou e altrove. Quel mese, le vendite al dettaglio in Cina sono cresciute solo del 2,5% rispetto a luglio, segnando il tasso di crescita più lento in oltre un anno”.
Ecco perché continuare a provare a tenere il virus fuori dai confini non pare essere una strategia sostenibile a lungo termine, soprattutto, come afferma Zhong nell’intervista: “Perché un alto tasso di vaccinazione a livello nazionale rende la malattia meno pericolosa”.
L’alternativa, allora, diventa quella che gli altri Paesi sembrano ormai aver accettato: trovare il modo di convivere con il Covid, puntando sul fatto che la diffusione dei vaccini abbatta li tasso di mortalità e la pericolosità dell’infezione.