Incinta per 4 anni e poi, in un attimo, quel meraviglioso parto

Esattamente due anni fa, uffici del Bienestar Familiar, una stanzetta decorata con palloncini e tavolo imbandito di torta e tanta tanta tensione… caldo, molto caldo, assenza di aria condizionata, una decina di persone attorno tra assistenti sociali, nutrizioniste, psicologhe, e non so chi altro… due anni fa nasceva la nostra famiglia.

Quella mattina ci prepariamo con ponderata e innaturale calma, io cerco un equilibrio nel fare attività consuete e addirittura mi organizzo la piega mattutina dalla parrucchiera di cartagena…. e sale ancora di più la tensione quando mi rendo conto che avrei potuto farne a meno vista la difficoltà nel comunicare in spagnolo le esigenze tecniche di piega, e considerata l’umidità appiccicosa che subito riporta alla realtà quella che è la mia vera immagine di donna che sta diventando mamma… la tensione si vede, accettiamola così com’è, non c’è piega che tenga

Andiamo a comprare una torta, bicchierini, palloncini, presa macchina fotografica, camera, mazzo di fiorellini gialli, il quasi neo papà ci tiene tanto, quindi andiamo al mercato dei fiori, il taxi accosta e ritornano con un mazzolino, il taxi riparte, in un viaggio sempre più ansiogeno, verso una Cartagena sconosciuta, fatta di case, casolari, piccole abitazioni sbilenche con tetti di lamiera, attraversiamo il barrio Nelson Mandela, uno dei più poveri, le strade a volte sono sterrate per poi riprendersi e in una zona trafficata, rumori, clacson, motorini, piccoli taxi gialli, autobus che non hanno fermate e pensiline, arriviamo, seguendo un percorso che mai potrei ripetere o ritrovare…

Scendiamo dal taxi accompagnati dall’avvocata e dalla traduttrice. Mi sistemo, ho in mano un sacco di cose, qualcuno mi aiuta e seguo il piccolo gruppo. Saliamo poche scale di una sorta di casa con patio, la porta è chiusa, gente fuori seduta ad aspettare, forse sono tutte donne, dimesse, qualcuna con bimbo in braccio, attendono. Saprò dopo che attendono di poter ricevere aiuti, soprattutto alimentari, come la Bienestarina, alimento altamente nutritivo dato a coloro che non hanno di che sfamare i propri figli…

Sento che ci osservano, non ero pronta a quegli sguardi, mi sento a disagio, vorrei non stare lì

Ci trovano un posto ad attendere seduti anche noi fuori ad aspettare ma in una zona opposta, lontana da quelle persone, così come lontani sono i nostri vestiti, i nostri pacchi, le nostre scarpe lucide e cravatte e rossetti… lontani, ma accomunati a loro dal nostro nulla da dare, siamo lì per prendere…. anche noi.

Ci sentiamo ancora peggio, e questo altro clima, altra luce, altri rumori, altro e ancora altro, trasformano ora il tutto in un mondo proprio diverso, e noi dentro ad una condizione psicofisica mai provata e con le gambe sempre più molli e emozioni che bussano sempre più forti. Il mondo di mia figlia è quello, stiamo passando dal sogno alla realtà, e siamo ora lì, nell’anticamera.

Ci fanno entrare, tutti gli altri ancora fuori ad attendere con i loro sguardi ora assenti, non più su di noi. Sto meglio.

Ci fanno attendere all’interno, arrivano a salutarci diverse persone, tutte donne, non di tutte capisco il ruolo. Non so quanto dovrò attendere, non si capisce, ma sto sudando freddo. Ci sorridono, sorrido. Ecco, mi presentano questa signora, è l’assistente sociale, mi dice un sacco di cose, mi spiegano che proprio ieri è caduta rovinosamente da un autobus in corsa (non ci sono veramente le fermate, devi scendere al volo…) e quindi questa volta si è fatta male, avrebbe dovuto non esserci oggi, per malattia, ma per nostra figlia ha fatto lo sforzo di esserci, non poteva lasciarla sola in questo momento così delicato, in questa “entrega” alla quale aveva dato 2 mesi circa di preparazione con lei. Nostra figlia si meritava la sua presenza! E zoppicando ci saluta per ritrovarci poi dopo.

Quanto tempo è passato ad aspettare in una sala d’attesa vuota, mi sembra un’attesa infinita, ma intorno alle ore 15.30 ci fanno entrare in una stanzetta calda, piccola, 8, 10 sedie da un lato, di fronte 2 sedie + 1 con le ruote, due scrivanie di cui una dedicata per l’occasione a tavolo per torta e bicchieri, ricomincio a sentirmi male… Entrano ed escono, c’è movimento, mi chiedono di tagliare la torta, oddio, ma come, è difficile…. in questo momento non so se ce la posso fare… in quanti siamo, nessuno me lo dice,io taglio a caso, temo di sporcarmi, datemi i piattini…. Sudo e forse dovrei andare in bagno. Improvvisamente si apre la porta chiusa, mi spavento…

Mi dicono di sedermi, ci guardiamo, è ora? Chiedo come sto, qualcuno mi dice in spagnolo “divina”, mi interrogo… Non capisco, mi siedo e guardo la porta chiusa.

Sento molti rumori,  molti escono dalla stanza, rimaniamo quasi soli. Che sta succedendo là fuori?
Dopo attimi dilatati la porta si apre. Ci guardiamo. Sto male. E’ il momento che attendiamo da 4 anni. Stiamo per incontrare per la prima volta nostra figlia. Ed entra l’assistente sociale con in braccio lei.

E’ un momento che trafigge. Ogni altro pensiero sparisce, tutti i rumori svaniscono, tutto intorno si fa bianco e nero, lei sola a colori. Sto guardando mia figlia per la prima volta. E vorrei poter usare il rallentatore per non perdermi nessun secondo… cerco dei riferimenti su quel viso partendo dalla foto ricevuta all’abbinamento ma, incredula, non ne trovo… è lei? E’ lei.

E lei è piccola nei suoi sei anni e mezzo.

E’ in lacrime. Paonazza. Lineamenti tirati da neonato sofferente. Quanto ha atteso questa nascita?

La paura dipinta sul piccolo viso. Appoggia il suo sguardo su di noi…ma scivola via.

I capelli sono umidi,  è tutta sudata. E io la sento e tutto mi risuona e mi viene da piangere. E’ un parto.

Cerco di trattenermi, mi sforzo, ma capisco che non ci riesco, sto piangendo anche io, me ne sto rendendo conto e porto le mani al viso, tentativo banale di nascondere le lacrime, così.

Ce la porta vicino… e lei…non ci vuole… ferma, gira con tutta la sua paura il visino dall’altra parte. Braccia e gambe strette strette, quasi a proteggersi da sé, da noi, due puri estranei… ferma, non cerca nessuno, ha la consapevolezza di non avere nessuno altro al suo fianco a cui rivolgersi per chiedere aiuto… ferma, nessun altro luogo dove andare o tornare… già, i bambini abbandonati sanno di essere soli di fronte alla loro paura. Respiro.

La fanno sedere sulla sedia a ruote e l’avvicinano al papà, che le porge il mazzolino di fiori giallo… e da lì inizia la nostra relazione, fatta di approccio dolce, piccole parole in spagnolo, para siempre, tus padres, te quierono tener miedo, fino al guardarsi, a piccoli sorrisi, dolci carezze, fino allo stare in braccio… Improvvisamente mi chiedono di firmare qualcosa, e mentre ritorno alla realtà mi dicono di darle la bambola… avevamo avuto difficoltà nella scelta… grande? o piccola? morbida? o parlante?, ecc ecc. ed ora… oddio, è vero, la bambola! ….Commetto un errore, non gliela consegno, ma perché? era nei miei sogni dirle tieni tesoro, la mamma ti dà questa bambola, tieni… e invece mi blocco, forse la temo, e apro solo il pacco e la prende lei. Non dormirò notti per questa azione sbagliata.

Qualcuno me la mette definitivamente in braccio per andare via, quanto tempo era passato? Altri raccolgono la mia borsa, i documenti, mentre lei ri-piange, non vuole, lo sento che non vuole, è irrigidita nel mio abbraccio e sento le sue lascrime bagnarmi la guancia… Il nostro primo contatto unito da lacrime, oddio, le mie gambe…. Sì, ce la faccio, sento che ce la faccio.

In prossimità dell’uscita due sacchi di plastica in un angolo, ci dicono di prenderli, contengono le sue piccole cose. E usciamo così, una bambina piangente, due sacchi, tutta la nostra nuova vita.

Un taxi, mi siedo. E ci guardiamo esausti, increduli e doloranti, con lei seduta in braccio tra noi che, improvvisamene, si asciuga le lacrime, ci guarda e ci dice, in una smorfia umida di un inizio nuovo sorriso spensierato: yuppi, tiengo una familia!

Ci ho impiegato molto tempo a ricordare questa nascita, la fatica emotiva aveva temporaneamente cancellato l’evento. E’ terapeutico essere riuscita a scrivere il ricordo di una “entrega”, di una “consegna” di tre vite l’una all’altra grazie solo alla fiducia, al coraggio e al tanto amore. E mentre scrivo su questo nostro diario rileggo e rifinisco con le parole più vere e vicine vicine al cuore questo piccolo episodio della nostra storia, affinché la vita non ci sfugga e rimanga testimonianza a nostra figlia di quanto e perché doveva essere lei, solo lei, la nostra bambina e noi, solo noi, i suoi genitori.

E perché il tam tam della nostra intensa felicità generi la forza che serve, in chi ci legge, per dare una seconda nascita ai tanti bambini che stanno, in questo momento, ancora aspettando la loro “entrega”.

Andateli a prendere.

(Da La 27esimaora.corriere, Cristina Preti, 19 Aprile 2012)