Gloria, mamma adottiva dalla Bulgaria: “Ho adottato un adolescente e non me ne pento”

Gloria è una madre adottiva contro ogni pregiudizio. Ha 58 anni; il marito, Francesco, ne ha 56. Un mese fa hanno portato a casa Sandor, il loro figlio adottivo di 11 anni e mezzoGrandicello, secondo la media corrente dei bambini che entrano in Italia con un’adozione internazionale.

«Non ci siamo posti problemi relativi al fatto che avesse una personalità già formata – spiega Gloria, alla quale abbiamo chiesto come ha affrontato l’esperienza di accogliere un figlio già cresciuto –. Abbiamo scelto di soffermarci, in questo caso, sull’aspetto emotivo dell’adottarlo: l’abbiamo visto come un piccoletto timoroso, bisognoso di noi. E grazie a questo approccio iniziale, di tipo temperamentale, è poi emerso il suo forte carattere».

Come si trova Sandor adesso, calato nella sua nuova famiglia?
Il modello educativo che aveva ricevuto fino a poco tempo fa era quello dell’istituto – continua Gloria – dove non aveva una madre né un padre che si curassero di lui, ma dove forse si stava abituando a crescere con una certa “libertà”. Ora si sta ambientando nel nuovo modello educativo della famiglia, fatto di regole da osservare tutti insieme, di divieti e di permessi. Un nuovo adattamento, per lui tanto quanto per noi: ma del resto dovevamo scontrarci con la realtà, prima o poi, e la realtà per noi è stata questa, misurarci con un carattere già formato. Altro grande scoglio è stato per noi il problema della lingua. Equivocavamo molto spesso. Ora, con pratica e pazienza, nostro figlio tenta di fare uno sforzo per farci comprendere le sue richieste e le sue esigenze. Prima ciascuno restava sulle sue posizioni.

Può fare un esempio?
Un esempio molto chiaro potrebbe essere quello dei videogiochi. Sandor non se ne staccava. Era tutt’uno con il gioco, sembrava assente da tutto il resto. Preoccupati che si distogliesse dalla realtà lo abbiamo invitato a distaccarsi, cercando di dargli delle regole. Lui invece ha inteso che non volevamo vederlo giocare. È andato fuori di sé, dicendo anche parole grosse (che voleva fare le valige, andarsene via…).

Come avete risolto?
Aiutarlo a procurarsi qualche conquista linguistica è stato utile a spiegargli che non gli stavamo portando via qualcosa, ma che gliela stavamo dando: una regola da osservare, appunto, per non lasciarsi trascinare dal videogioco e non farne un vizio.

A scuola come va?
Devo dire che è entusiasta di coinvolgerci nelle sue attività scolastiche. Nelle ultime settimane gli insegnanti hanno organizzato una gita: tornava a casa presentandoci le autorizzazioni, informandoci sui soldi da portare, ci faceva grandi solleciti! Vedo che gli piace molto creare questi contatti tra il mondo familiare e il mondo che trova all’esterno. Lo abbiamo portato con noi a seguire partite e alcuni eventi sportivi: be’, era lui il trascinatore! Gli piace la sua famiglia, sì. Gli piace stare con noi. E questo mi fa felice.

Solitamente chiediamo alle coppie se hanno “sentito” il bambino come figlio già dal primo incontro. Com’è stato per voi?
“Sentirlo figlio” già dal primo incontro… Per me è una parola grossa. Credo che un figlio lo si senta tale giorno dopo giorno, vivendoci insieme, anche in situazioni di incontro/scontro, anche quando vieni messa alla prova nel tuo ruolo di madre. Lui è uno di quei figli che ha carattere e che te lo vuole dimostrare; ha una grande intelligenza, è vivace, vispo, è inevitabile che a quest’età ci siano scontri. Ma per me è una fortuna che ci siano.
So che ci sono coppie più emotive, io mi affido di più alla sfera razionale. Ho bisogno di un altro tipo di contatto: di vedere se gli ho strappato un sorriso, di stare con lui mentre mi racconta tutto su com’è andata a scuola. Non a caso, è un figlio grande. I piccoli hanno bisogno di fisicità, quindi di carezze; i grandi innescano un rapporto più coinvolgente, che spazia in diversi ambiti.

Lei ci fa venire quasi invidia… Ma qual è il consiglio che vorrebbe dare alle coppie che aspirano ad adottare?
Di non lasciarsi prendere troppo dall’aspettativa. So che ci sono coppie – e lo so dai racconti di amici che a loro volta hanno adottato – che vivono l’ingresso del figlio in famiglia come un punto d’arrivo, un po’ come a volte si fa con il matrimonio. Ma non è così. Vivetelo come il punto di partenza.