La paura di essere adottati: “A che mi serve una valigia?”

UcrainaPaura del nuovo, perché, ogni volta che nella tua vita è cambiato qualcosa, è sempre stato solo in peggio.

Paura di illudersi e senso di colpa, per chi resta, per chi non ha la tua stessa fortuna, per chi, fino a ieri era tuo amico di giochi e sventura, compagno di dormitorio e di scuola, e adesso lasci solo in un orfanotrofio, mentre tu vai incontro a una nuova vita, una nuova casa, una stanza tutta per te e una mamma e un papà che ti hanno scelto come figlia.

E sì, anche tanta paura di essere felice, di meritarselo, di farcela a lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare.

Sono tanti i sentimenti che hanno stretto il cuore della piccola Lisa in un pianto disperato quando è arrivato il momento di abbandonare l’istituto dove aveva trascorso sette anni e trasferirsi in Italia con i genitori che l’hanno adottata. Sconcerto, spavento, resistenza: una reazione inaspettata da una bambina che tante volte aveva espresso la voglia e il desiderio di avere una famiglia.

Eppure è normale. La crisi prima della partenza è qualcosa a cui, chi, come gli psicologi e gli operatori di Ai.Bi., segue tante adozioni internazionali, è abituato.

E’ un momento di disorientamento che quasi ogni bambino prova e per questo va seguito e aiutato con competenza, accompagnato proprio nel momento più bello e cruciale della sua nuova vita.

Così è successo a Lisa, che i genitori italiani sono andati a raggiungere in SudAmerica. Dopo una vita segnata da troppi addii e nessuna sicurezza, è entrata in crisi. “Poco prima della partenza, siamo andati a fare due passi nel parco vicino al nostro ufficio”, racconta la nostra operatrice. “Lisa aveva un comportamento strano, sembrava molto agitata, si rifiutava di dare la mano ai genitori, e mi ripeteva sottovoce, quando pensava che non la vedessero: Io non vado con loro, non ci vado! Sembrava che un po’ lo facesse per gioco, ma non era così. A un certo punto, si è messa a piangere e mi ha detto: Voglio rimanere con gli altri bambini, non posso prendere l’aereo. Abbiamo deciso, insieme alla famiglia, di darle un po’ di tempo, di non insistere. L’abbiamo lasciata giocare, sfogarsi, distrarsi.

Il giorno dopo, l’ho portata con me al supermercato e le ho dato un incarico importante: scegliere la sua valigia preferita in mezzo a tutte quelle, grandi piccole colorate morbide rigide, che c’erano. Era libera, poteva fare quello voleva. Le brillavano gli occhi. Con un po’ di difficoltà e mille indecisioni, Lisa ha scelto la più bella e la più grande di tutte, ma, appena l’ha avuta in mano, ha iniziato a dire: A che cosa mi serve? Tanto non vado da nessuna parte.

Ancora una volta né io né i suoi genitori abbiamo insistito o provato a forzarla. Ci siamo detti: ci sta mettendo a prova, non si sente sicura … passerà.

E così è stato. La sera, è stata lei a prepararsi la valigia, mettendo dentro tutte le sue cose e dicendo che era contenta, che finalmente era arrivato il giorno che aspettava.

 

Poi, la mattina dopo, ancora un momento crisi.

Si è resa conto che non avrebbe mai più visto quello che lei chiamava casa, nonna Maria (l’operatrice dell’istituto, che tutti i bambini qui chiamano così), i compagni di classe. Voglio tornare dalla nonna, non voglio lasciare questo Paese, loro non mi capiscono quando parlo, io non capisco bene l’italiano…

Le ho spiegato con pazienza che nonna Maria era stata con lei tutto questo tempo, solo perché quello era il suo mestiere, ma che adesso lei aveva trovato una mamma e un papà che volevano regalarle tutto il loro amore. Le ho detto che, dove non arrivavano le parole, potevano arrivare i gesti, le carezze, gli abbracci, i sorrisi. Le ho raccontato che anche le sue due amiche del cuore presto se ne sarebbero andate dall’istituto perché avevano trovato anche loro una famiglia.

Quando è salita in macchina, è rimasta zitta zitta tutto il tempo del viaggio verso l’aeroporto. Poi, a un certo punto, ha detto ad alta voce: E da ora in poi non si piange! Arrivata al check in, a nostra sorpresa, è diventata un’altra bambina. Tutto l’aeroporto era suo: correva e saltava, tutta contenta, sembrava non vedesse l’ora di partire, si buttava in braccio alla mamma, scherzava. I suoi genitori sono stati molto bravi, non si sono spaventati, non l’hanno sgridata, hanno accettato di starle vicino con i suoi alti e bassi, senza mai forzarla, con pazienza, con amore”.

Perché diventare madri e padri, diventare figli è un percorso, che si fa insieme,e si impara ogni giorno, poco a poco. Come nella favola del Piccolo Principe, bisogna avvicinarsi un passo alla volta e “preparare il cuore”, “addomesticarsi” un po’ a vicenda. Per conoscersi ci vuole tanto tempo, ma questo è “il prezzo della felicità”.