Romania: “La nostra bambina triste e stanca, ma dagli occhi pieni di speranza”

moldova_spalleAlina è nata a Bucarest nel 1992 e all’età di 6 anni è stata adottata da una coppia italiana. Da quel momento, ha vissuto in Italia e ha ritrovato la serenità, poco a poco. La sua storia si ascolta in silenzio perché, a volte, non si riesce neanche a prendere fiato.  I suoi genitori adottivi non l’hanno mai lasciata sola, le sono stati vicini e cercano di aiutarla ogni giorno a sanare le ferite e il dolore dell’abbandono e i terribili ricordi dell’orfanotrofio.

Adesso che è diventata grande, Alina studia Lingue straniere all’università e sta imparando, di nuovo, il rumeno (che aveva completamente dimenticato) perché – dice – “vorrei lavorare con la Romania, affinché la gente possa conoscere anche le sue parti più belle. Vorrei diventare un’hostess di volo. Mi piacciono tanto gli aerei… forse perché il primo che ho preso mi ha portato in Italia dalla mia famiglia!»

 

E’ con queste parole che Alina comincia il suo racconto…

«La mia storia è come molte altre, purtroppo, in Romania. Vengo da una famiglia molto povera, mio padre era alcolizzato e mia madre era la sua “vittima”. Io sono l’ultima di quattro figli. Sono stata adottata, insieme a mia sorella, e siamo arrivate in Italia. In Romania sono rimasti mia madre, mio fratello, un’altra sorella con sua figlia e mia nonna. Mio padre, invece, è morto. Per me era come se già fosse morto. Lo considero un uomo fallito, perché dopo la mia nascita, ha perso il posto di lavoro e, invece di cercare di mantenere la famiglia, ha iniziato a bere: era l’unica cosa che sapeva fare per liberarsi dalle sue frustrazioni. Non era un padre, era un mostro. Dopo tanti anni, sento ancora una rabbia talmente forte, ma non verso di lui, soprattutto verso di me. Perché è dopo la mia nascita che tutto è cambiato nella mia famiglia. Forse, sono stata io a rovinare mio padre mentre la mamma, per “salvarci”, ha preferito lasciarci in un orfanotrofio. In questo modo ci ha regalato la possibilità di sopravvivere e ha tirato anche lei un sospiro di sollievo. Una scelta, direi, facile per lei più che per noi… Non la condanno, le sono grata perché mi ha dato la possibilità di conoscere e vivere nella mia nuova famiglia adottiva, che è meravigliosa. Però non è stato facile.

«Ora sono cresciuta, ma il passato è ancora tutto lì: ho sempre paura, ho paura che quelli che amo, prima o poi, si stufino di me e mi lascino. Mi è già successo una volta e sono finita in un orfanotrofio: perché non potrebbe ricapitare? Fino all’età di 12 anni facevo la pipì a letto e ogni volta ero terrorizzata all’idea di essere picchiata. In orfanotrofio capitava spesso, le botte erano normali. Oggi credo di avere ancora tante insicurezze e mi faccio ancora troppi sensi di colpa: forse, se non fossi mai nata, le cose sarebbero andate diversamente, forse mio padre non si sarebbe mai attaccato alla bottiglia. L’alcol l’ha divorato. Senza di me, magari sarebbero stati felici.

Non rinnego le mie origini, io sono fiera di avere sangue rumeno. Non è per colpa della Romania che ho sofferto, vorrei tornare a rivedere, prima o poi, i posti dove ho vissuto. I ricordi che ho del mio Paese sono poco chiari, sfocati, la casa dove vivevamo  era minuscola, rovinata, avevamo un solo letto e, spesso, io dormivo per terra, perché sul letto ci dormiva nostro padre. Mi ricordo bene però quando io e i miei fratelli correvamo, a piedi nudi, per strada, per scappare alle botte e alle urla di quando perdeva la testa per l’alcol. Mi ricordo che spesso non avevamo nulla da mangiare. Ho rivisto mio fratello dopo 14 anni, abita con nostra madre, non hanno una vita facile. Io vorrei tornare solo per vedere la tomba di mio padre. Forse, lì, al cimitero, riuscirò a perdonarmi e a perdonarlo»

«L’orfanotrofio è stato orribile. Un incubo. Dovevamo dormire, svegliarci, mangiare e giocare quando decidevano loro. Era proibito essere bambini. Ci punivano spesso. Spesso, le inservienti mi portavano a casa loro per una settimana o due, ma, quando iniziavo a sperare che sarei rimasta per sempre, mi riportavano indietro. Le condizioni igieniche erano pessime e così, per evitare bestie e pidocchi , ci radevano a zero i capelli. Io piangevo perché sembravo un ragazzo. Così, perché la gente capisse che ero una bambina, e non un maschio, mi mettevo un nastrino. Quando i miei genitori adottivi mi hanno visto, per la prima volta, mio padre ha detto: “Una bambina triste e stanca, ma dagli occhi pieni di speranza”.

Fortunatamente, due anni dopo che noi ce ne siamo andate e siamo venute in Italia, quel posto orribile è stato chiuso. L’unico ricordo della mia vita in Romania è una catenina che mia madre regalò a me e a mia sorella. Ce le abbiamo ancora, nonostante tutte le sofferenze, io riesco a separarmene. Anzi, a volte utilizzo i ricordi più difficili, il ricordo di mio padre arrabbiato e annebbiato dall’alcol, che ci insegue e ci picchia, per rafforzarmi, per dirmi che non diventerò mai come lui, anche se, fisicamente, ci assomigliamo molto. Ecco perché, molto spesso, odio l’immagine che vedo nello specchio».

Fonte: Gazeta Romaneasca