L’appello: “Non puoi lasciare lì chi già vive del tuo respiro”

regioni mille suoni congoTra i tanti appelli che ci giungono ogni giorno da parte di genitori vicini alle famiglie italiane bloccate in Congo, abbiamo scelto l’accorato commento che segue per esprimere anche la vicinanza e la solidarietà di Amici dei Bambini.

 

Rientrare in Italia senza portare i propri figli è un’ipotesi che non può essere neanche essere presa in considerazione.

Auguro a tutte le famiglie che stanno vivendo questo incubo, di rientrare presto in Italia, chiaramente con i loro figli. Confidiamo nell’intervento del Papa. Aggiungo il mio sostegno morale al coro di voci unite nell’impegno per la rapida e lieta conclusione di questa tragedia, e spendo qualche parola per chi ha snobbato la tragicità della situazione o l’ha addirittura ridicolizzata.

E’ evidente che chi ha avuto una simile sfrontatezza non si è mai recato dall’altro capo del mondo per portare a casa il proprio figlio e, se fosse intenzionato a farlo, farebbe bene a desistere immediatamente, perché probabilmente non ha né cuore, né anima, né cervello all’altezza.

Quando andai a prendere mia figlia a Kinshasa, pianse disperatamente in due occasioni: la prima quando, dopo il primo incontro all’istituto, in ossequio alle procedure, l’abbiamo salutata con la promessa e la certezza di andarla a riprendere il giorno successivo; la seconda quando, dopo qualche giorno di permanenza in albergo, è dovuta andare con il responsabile dell’ente per l’adempimento di obblighi formali, mentre noi siamo stati costretti a rimanere in albergo per “motivi di sicurezza”. Non riesco a non pensare a come avremmo reagito, se quanto sta succedendo adesso alle coppie in Congo fosse accaduto a noi.

Unica e assoluta, infatti, è la certezza che non puoi ripartire lasciando lì chi già vive del tuo respiro e si nutre del tuo amore, dopo che è tornato a rifiorire alla vita, fra braccia amorevoli che hanno iniziato a cullarlo. Mia figlia aveva nove anni quando siamo andati a prenderla, e se fossimo stati costretti a lasciarla lì sarebbe morta: di strazio e di dolore, prima che di stenti. E noi saremmo morti con lei.

Non riportare a casa le nostre famiglie “congolesi” equivale a firmare una condanna a morte sia per i nostri figli, che per i loro genitori. Non c’è dolore più grande della perdita di un figlio, e quei bambini sono già figli di questi genitori. Non perché lo ha stabilito un regolare, ma freddo tribunale, ma perché i loro occhi hanno incontrato gli occhi di mamma e papà, perché hanno sentito finalmente l’abbraccio che aspettavano.

Non possiamo strapparli a quell’abbraccio. Non possiamo strapparli alla vita per la seconda volta. E chi non ha la sensibilità per comprendere un così semplice e intenso concetto, ci faccia il piacere di astenersi dallo scrivere eresie, e si faccia da parte. Nessuno sentirà la sua mancanza.