Bambini in carcere con le madri, c’è la riforma ma non le strutture

bambini_in_carcere_appello 200Il suono cupo dei cancelli che si chiudono a chiave, finestre e porte invalicabili, secondini in divisa che si muovono lungo corridoi lunghissimi: è la quotidianità dei bambini che vivono in carcere, una realtà che in Italia riguarda mediamente 50-60 minori ogni anno.

Il diritto di poter godere dell’affetto delle madri, nei primi tre anni di vita, è un diritto che i bambini pagano a caro prezzo. Irrequietezza, che può essere anche molto pronunciata; crisi di pianto frequenti e immotivate; insonnia; inappetenza; significative variazioni di peso, sia in eccesso che in difetto.

Per cercare di contrastare questi traumi, la legge 62/2011, che entrerà in vigore dal primo gennaio 2014, consente alle madri di scontare la pena con i loro figli in Istituti a custodia attenuata (Icam), che pur essendo luoghi di reclusione, in apparenza non hanno nulla che assomiglia un carcere.

Le guardie vestono abiti civili, le grate sono sostituite da pannelli colorati, le strutture assomigliano ad asili nido. Ma il problema è che la legge c’è, ma gli unici due Icam presenti in Italia, a Milano e Venezia, non possono accogliere i circa 60 bambini al di sotto dei tre anni che sono entrati in carcere con le mamme. L’obiettivo della legge, a pochi giorni dall’entrata in vigore, rischia di rimanere incompiuto.

Non solo. La nuova normativa consente alle madri di tenere il bambino con sé finché non compia sei anni, e non più tre. Alcune associazioni che si occupano della tutela dei figli di donne in carcere sollevano il problema.

La presidente di “Bambinisenzasbarre”, Lia Sacerdote, propone altre tipologie di strutture, per madri e figli. I nuclei familiari potrebbero vivere in case famiglia protette, affidate ai servizi sociali e agli enti locali. Afferma: «Questa legge prevede le case famiglia protette che, secondo noi, dovrebbero rappresentare la soluzione migliore. La legge, però, dice che non deve esserci un onere per lo Stato e queste case famiglia sono a carico degli enti locali, e gli enti locali devono avere delle risorse. Si tratta, quindi, di fare delle convenzioni tra ente locale ed eventuale gestore, per permettere a queste case famiglia di essere sostenute finanziariamente».

Fonte: radio vaticana