Adozioni, il Congo e quell’ipocrisia sui bimbi di nessuno

brambilla congoSi riporta di seguito un interessante editoriale sul caso delle famiglie bloccate in Repubblica Democratica del Congo, a firma di Andrea Valesini, da L’Eco di Bergamo del 28 dicembre. 

 

Questa volta il caso è diventato diplomatico, dopo aver conquistato la ribalta dei media. Un caso del resto clamoroso: 24 coppie di italiani sono bloccate da settimane in Congo insieme ai bambini che hanno adottato, in attesa della concessione del visto per l’espatrio dei piccoli. Il governo di Kinshasa il 25 settembre scorso ha infatti deciso di congelare tutte le pratiche d’adozione per avviare controlli più rigorosi dopo aver scoperto che un canadese omosessuale si era finto single ed era riuscito a diventare genitore di un bimbo congolese.

Così le maglie della burocrazia africana si sono strette inesorabilmente, di fatto tenendo in ostaggio le coppie italiane che avevano già il decreto che li ha resi genitori dei piccoli incontrati a Kinshasa, già nel viaggio precedente a quello incriminato. Non è la prima volta che accade un fatto così.

Il percorso dell’adozione internazionale è pieno di ostacoli e ciclicamente i Paesi che danno i propri orfani a famiglie straniere rivedono le regole, spesso in seguito ad adozioni non andate a buon fine. Il caso congolese è clamoroso perché le 24 famiglie italiane avevano già superato tutte le tappe e mancava solo l’ultimo timbro per l’espatrio. Quindi l’ irrigidimento del governo di Kinshasa non ha ragione d’essere, dopo che proprio le autorità africane avevano concesso i decreti che affidavano i bambini ai nuovi genitori.

In Romania accadde qualcosa di analogo quando otto anni fa entrarono in vigore nuove norme. Genitori furono separati dai figli adottivi che avevano conosciuto nel primo viaggio. E’ un meccanismo crudele quello che non sa distinguere le violazioni delle leggi da chi invece le leggi le ha rispettate, e fa cadere la mannaia di una presunta giustizia indiscriminatamente, colpendo anche quei piccoli che finalmente hanno una famiglia.

Le adozioni internazionali sono sempre state il terreno di incursioni da parte di chi cerca la scorciatoia o approfitta delle maglie larghe delle norme e vigilare è un dovere. Ma sono anche il terreno di una grande ipocrisia: l’interesse prevalente non è sempre il destino dei bambini senza famiglia. Ci sono burocrazie statali che lucrano su questo principio. Nel mondo, secondo le ultime stime dell’Unicef, ci sono ben 168 milioni di minori in grave difficoltà o in stato di abbandono.

Dall’altre parte ci sono famiglie desiderose di accogliere nuovi figli. L’incontro fra il problema e la possibile soluzione è osteggiato da diversi fattori: i Paesi del sud e dell’est del mondo aperti all’adozione internazionale sono una stretta minoranza, fra questi molti impongono iter lunghi, che di fatto scoraggiano le coppie dall’affrontarli. Inoltre le stesse coppie hanno spesso il desiderio di accogliere un bambino piccolo e senza problemi e quindi il campo delle possibilità si restringe ulteriormente.

C’ è poi il fattore costi, fra gli ostacoli: l’Italia non prevede forme di sostegno economico pubblico a chi affronta l’avventura di diventare genitore di un bimbo straniero (la spesa media si aggira sui 15 mila euro tra viaggi, vitto e alloggio nei Paesi di adozione, contributi alle associazioni delegate a seguire le pratiche). C’ è molta strada da fare, quindi, per dare corso al principio che ogni bambino avrebbe diritto ad avere una famiglia che lo cresca. All’estero ma anche nel nostro Paese. In Italia ci sono 1.491 bambini adottabili, compresi i minori già inseriti in un percorso di affidamento preadottivo. Anche loro in attesa di nuovi genitori.