La cantonata del tribunale di Milano: da quando esiste il diritto del figlio ad ogni costo?

tribunaleMilano350Volevano essere genitori a tutti i costi, e invece di pensare all’adozione, si sono rivolti alla maternità surrogata, affittando l’utero di una giovane ucraina per la “modica” cifra di 30.000 euro. Peccato che questa sia una pratica – oltre che discutibile – proibita per legge in Italia. O almeno così sembrava.

Già, perché la controversa vicenda che ha coinvolto una coppia italiana del milanese, ha ricevuto adesso una sorta di indiretto beneplacito da parte del Tribunale di Milano: i giudici hanno infatti giudicato “non colpevoli” i coniugi, per non aver alterato lo stato di nascita del bambino, considerato regolarmente come figlio loro in Ucraina e (di conseguenza) giudicato tale anche in Italia.

Al di là degli aspetti tecnico-legali (il costituzionalista Cesare Mirabelli, ad esempio, parla su Avvenire di un’interpretazione “acrobatica”, perché “giustifica pratiche che sono contrarie ai principi del nostro ordinamento”), a lasciare perplessi è soprattutto quel “diritto alla genitorialità” a cui fanno riferimento i giudici nel giustificare la correttezza dell’operato dei due coniugi.

“Siamo di fronte a un ardito rovesciamento di prospettiva”, dice Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini: “il diritto da tutelare non è quello della coppia di avere un figlio a tutti costi, ma quello del figlio ad avere una famiglia. La Lombardia è in assoluto la regione che ha perso più genitori adottivi negli ultimi anni: perché i magistrati milanesi, invece di avvallare pratiche discutibili, non pensano a favorire il percorso adottivo di tante coppie disponibili ad accogliere un minore abbandonato?”

La domanda è legittima. Nel 2013, infatti, la Lombardia, “perdendo” 50 coppie rispetto al 2012, ha registrato una flessione del 10,8% nel numero di famiglie che hanno fatto richiesta di adozione; rispetto al 2010, anno “d’oro” per le adozioni, si parla addirittura di un vero e proprio “crollo”, pari al -33,3%. Possibile che questo nuovo “colpo” alle aspiranti coppie adottive, parta proprio da Milano?

“Con decisioni del genere”, insiste Griffini, “la magistratura lombarda dimostra indirettamente di non credere più nella scelta adottiva di tante coppie. Questo, in un contesto dove prevale già, in Italia, una cultura selettiva verso le famiglie che vogliono adottare, che dovrebbero essere invece valorizzate come risorsa sociale e accompagnate lungo tutto il delicato iter adottivo.”

Eppure, la “moda” dell’utero in affitto sembra prendere sempre più piede in alcuni paesi stranieri, specialmente quelli che consentono o tollerano questo tipo di pratica. Uno dei principali “hub”, in questo senso, sembra essere la Thailandia, dove si è sviluppato un vero e proprio “racket” dell’utero, che alimenta il cosiddetto turismo procreativo, anche grazie a campagne pubblicitarie, costi “ridotti” (tra i 50 e i 60mila dollari americani) e “mance” per le donne. Il listino dei prezzi, d’altro canto, varia da paese a paese: in India, la procedura costa 10.000 dollari, in Cina 28.000, in Guatemala 60.000 e negli Stati Uniti ben 80.000 dollari.

Lo psicanalista Giancarlo Ricci, intervistato da Avvenire, ha le idee chiare sul fenomeno: “Un figlio si genera, non si ottiene.” Anche un genitore adottivo, infatti, pur se incapace di generare biologicamente, si fa carico della responsabilità genitoriale di qualcun altro, compiendo un gesto altruistico; nel genitore che si rivolge alle biotecnologie, invece, prevale sempre un aspetto egoistico, quello di voler “creare” a tutti i costi qualcosa di proprio. “Nel ragionamento di una madre che per sentirsi tale, per realizzare il suo desiderio di maternità, paga quella di un’altra donna”, dice Ricci,il valore sacro del figlio non ha alcuna importanza.”

In altro parole, se il figlio diventa un prodotto, è naturale che intorno a esso si instauri un vero e proprio mercato. Un traffico in cui a pagare, peraltro, sono spesso coloro che ci dovrebbero “guadagnare”. C’è infatti un aspetto tutt’altro che secondario, ma che tende a passare sempre in secondo piano: “rimborsata” o meno, la donna che ha concesso in affitto il proprio utero vive sempre il dramma del distacco, perché il figlio le viene tolto, e con esso la sua stessa predisposizione alla “maternità”, costruita fisicamente, psicologicamente e spiritualmente nel corso dei nove, lunghi mesi di gestazione.

“Questa pratica mi ricorda molto quella della prostituzione”, dichiara provocatoriamente Ricci: “in quel caso si paga per un atto sessuale, abusando della condizione drammatica di una donna spesso fragile e costretta. Qui si paga per un figlio, abusando della stessa condizione.