Adozioni internazionali e “Paesi a rischio”: sospendere le autorizzazioni agli enti

Ci troviamo di fronte a un bivio, dal quale dipende il destino di migliaia di bambini abbandonati – ha detto Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Da una parte gli Enti autorizzati potrebbero decidere di non fare più adozioni in “Paesi a rischio” dove si manifestano episodi di corruzione; dall’altra potrebbero invece scegliere di continuare a operare nel Paese tentando di migliorare il “sistema adozioni”. La scelta non può comunque prescindere da una fondamentale presa di coscienza: se gli enti decidessero di non fare più adozioni nei Paesi che non garantiscono procedure trasparenti e rigorose, sarebbero complici di un sistema che non tiene conto dell’inalienabile diritto del minore ad avere una famiglia.”

E’ questo il commento di Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi., rispetto alla situazione che si è creata nei Paesi in cui l‘adozione internazionale si svolge in un contesto non sempre trasparente o comunque di difficile lettura. Tale situazione mette in difficoltà sia gli enti autorizzati, che si trovano spesso impotenti e impreparati, sia le famiglie che si trovano loro malgrado a perpetuare un malcostume che alimenta attività illecite.

Non è una novità, infatti, che in alcuni Paesi le coppie siano state coinvolte in episodi poco chiari, prestandosi a effettuare elargizioni non preventivate e non presenti sulle schede costi per l’estero. Esistono poi realtà, soprattutto in Asia e Africa, che presentano una serie di problematiche a livello sociale, politico ed economico, con evidenti ripercussioni sulla gestione del sistema adozioni. Sono Paesi in cui le condizioni di estrema povertà della gran parte della popolazione costringono molti genitori all’abbandono dei propri figli in istituto. A volte capita che le famiglie decidano di ricoverare i bambini in orfanotrofio con l’idea di poterli riprendere con sé in futuro, ma vengono ingannate da direttori privi di scrupoli che rendono illecitamente adottabili i minori accolti nelle strutture.

Dove si verificano queste condizioni, per evitare di chiudere le adozioni internazionali, occorre sospendere le autorizzazioni agli enti e assegnare le loro funzioni alla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI). In questo modo la CAI potrebbe assumersi la responsabilità e seguire direttamente dall’inizio alla fine il “percorso” dei dossier delle coppie adottive, monitorando la condizione di adottabilità o meno del minore. Naturalmente tale procedura richiederebbe un forte impegno delle rappresentanze diplomatiche italiane in loco. Per dare concretezza a tale progetto, come già avviene in Francia, l’adozione internazionale dovrebbe essere collocata all’interno della politica estera e come tale la CAI dovrebbe dipendere dal Ministero degli Affari Esteri.