Zamagni: «Vi svelo che cosa è il “vero” sostegno a distanza: un welfare generativo»

zamagni stefano 350“Non ti posso aiutare senza di te”: questo il principio fondamentale da far passare quando si parla di welfare.

Professor Zamagni, Lei parla di welfare di tipo generativo. Cosa vuol dire?

E’ un concetto che si può sintetizzare in uno slogan: «Non posso aiutarti senza di te».

Da dove nasce l’idea del modello generativo all’interno della  welfare society?                                 

La Welfare society può essere realizzata attraverso due modelli differenti: o il ‘tradizionale’ di tipo risarcitorio, sostanzialmente assistenzialistico, e a fruizione individuale. Oppure attraverso il welfare generativo che è a fruizione sociale. Nel primo caso l’ente preposto, che sia un ente pubblico o un’associazione, si rivolge al singolo portatore di bisogno e gli fornisce quello di cui ha bisogno. Nel secondo caso, il principio d’azione è il coinvolgimento del portatore di bisogno, al quale viene chiesto di instaurare un rapporto di scambio, non con il benefattore ma nei confronti di altri. Perché non si può essere egoisti.

Può farci un esempio?

Faccio di più. Le racconto l’episodio che mi ha fatto riflettere su quanto sia deleterio l’approccio  paternalistico. A Bologna, vicino alla stazione, c’è un’associazione che la sera distribuisce cibo ai clochard. Qualche mese fa ho visto alcuni volontari che ripulivano il piazzale da bicchieri e piatti di plastica. Quando ho chiesto loro cosa stessero facendo, mi hanno spiegato che ripulivano il piazzale, dove i senzatetto avevano l’abitudine di buttare a terra bicchieri e piatti di plastica temendo che il capostazione  non autorizzasse più il servizio. Non me l’avessero detto. Li ho rimproverati. Ho detto loro:« Così voi sarete la rovina della terra. Voi li diseducate, se non aiutate queste persone a praticare la reciprocità».

E com’è finita?

Adesso han cambiato.

Perché l’ha chiamato welfare generativo?   

Mi piace la parola ‘generativo’, perché è un welfare che ‘genera’ risorse. Chi ha avuto bisogno e ha avuto soddisfazione a quel bisogno, diventa a sua volta risorsa.

Qual è il valore di questo approccio?   
                                                                       
Questo approccio non offende la dignità della persona. Perché non fa sentire la persona totalmente dipendente dal benefattore di turno.

Come coniuga il welfare generativo al sostegno a distanza?                                                     

“Non ti posso aiutare senza di te”: questo dev’essere il concetto fondamentale da far passare. Perché uno che è nel bisogno, capisce di essere importante per  il suo benefattore. Quando poi passa il tempo, e quella persona esce dal bisogno, magari fa soldi, si sente moralmente impegnato a restituire parte di quel che ha ricevuto.  E’ questo il meccanismo. E invece noi abbiamo viziato il mondo di chi aveva bisogno con l’atteggiamento pietistico  del ‘poverino, poverino’.

 Lei quindi pensa che ci sia stata una degenerazione nel mondo del non profit italiano? 

Sì. Prima non era così. E’ un fenomeno che è cominciato negli anni ’70. Negli ultimi trenta, quarant’anni c’è stata una trasformazione della solidarietà e carità in gesto paternalistico.

E come si cambia passo?

Guardi, non è molto diverso da quello che avviene nelle famiglie. Una mamma deve educare, non viziare.  Non esiste che un ragazzo non si faccia il letto nel quale dorme, non lavi i piatti dove mangia. I ragazzi devono capire che loro sono parte, non solo ricevente, ma anche una parte che dà. Se si va in questa direzione, il mondo del non profit conoscerà una nuova stazione. Perché questo genera le risorse e le fa uscire dal vero bisogno, che prima che materiale è spirituale.

A cosa si riferisce?

Al bisogno di sapersi importante. Un beneficiario deve sentire di essere importante per il benefattore, perché senza la cooperazione reciproca , non c’è vero aiuto. Deve essere chiaro il massaggio che tu sei importante per me. Non sei un oggetto, ma sei un soggetto. Cioè una persona che è sì portatore di bisogni, ma anche di risorse. Quando noi facciamo i paternalisti, umiliamo gli altri. E il bello è che siamo così ipocriti, che non lo vogliamo ammettere.   Non posso tollerale la cattiveria di persone che pensando di fare il bene producono il male. Non è ammissibile. Il male peggiore è l’umiliazione delle persone.

Secondo lei è questo modello valido anche nei rapporti tra l’Occidente e i Paesi in via di sviluppo? 

Ma certo, e non lo dico solo io. Queste cose ce le ha dette Dambisa Moyo. Una donna eccezionale, economista che lavora al Fondo Monetaria, originaria dello Zambia. Nel  libro “La carità che uccide” ha denunciato proprio questo. Ha scritto: ‘Smettete di farci la carità! Ci avete  rovinato l’esistenza a noi africani. Venite con la mentalità da ex colonialisti, ci date soldi. E invece serve che ci aiutiate ad arrangiarci da soli. E ha ragione. Gli aiuti occidentali hanno reso passivi gli africani.