Comunità educative e diritto alla famiglia, un binomio inconciliabile

famiglia figli 200E’ stata inaugurata oggi la IV Settimana del Diritto alla Famiglia, un grande evento promosso dalla Federazione di enti non profit Progetto Famiglia.

Si tratta di un’iniziativa che vede proposti 200 eventi di sensibilizzazione all’accoglienza, formazione e preghiera su tutto il territorio nazionale.

La riflessione in questa edizione si allargherà anche al tema della denatalità, sottolineando quanto sia fondamentale “ribadire che i figli non sono un costo per la società ma una ricchezza”  come sostiene Marco Giordano, presidente di Progetto Famiglia.

Ma il cuore della proposta rimane anche quest’anno legato ai minori che si vedono privati del diritto a crescere nella propria famiglia.

Da mesi è online (www.dirittoallafamiglia.it) una petizione promossa dal Comitato per il diritto dei minori a crescere in famiglia, che vede Progetto Famiglia affiancato da altre realtà associative, i cui punti nodali esprimono la volontà di “sancire solennemente, mediante un’integrazione degli Statuti Regionali, il diritto dei minori a crescere in una famiglia”, “assicurare l’esigibilità del diritto a crescere in famiglia”, “promuovere l’affidamento familiare, ma anche definire standard minimi nazionali delle comunità per minori”.

Se apparentemente questo punto può sembrare legittimo, in realtà nasconde una grossa insidia: la negazione del diritto a crescere in una famiglia.

Infatti, come le proposte della settimana confermano, l’obiettivo è quello di definire gli standard delle strutture di accoglienza di minori, comprese le comunità educative.

Questo sarà il tema del convegno nazionale che ha come titolo “Case Famiglia e Comunità Educative: criteri e modalità per scelte a misura di bambino”.

Ma una comunità educativa può essere a misura di bambino? Come è possibile sancire solennemente il diritto alla famiglia per ogni bambino e pensare che le comunità educative possano rendere esigibile questo diritto? Possono gli standard affettivi delle comunità educative, così definiti nel programma dei lavori della conferenza, sostituire l’amore di una famiglia? Com’è possibile continuare ad affermare che ogni bambino ha diritto a una famiglia e contemporaneamente legittimare l’esistenza di comunità educative?

La battaglia che Amici dei Bambini e don Benzi, fondatore dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, hanno vinto imponendo la chiusura degli istituti con la legge 149/2001, rischia di vanificarsi se non si arriverà a imporre la chiusura delle comunità educative che non possono, per loro natura, essere “di tipo familiare” come recita la legge stessa.

Se si vuole parlare di accoglienza, bisogna con decisione convertire tutte le comunità educative in comunità familiari, valorizzando e riconoscendo la necessaria professionalità di tutti quegli educatori che al fianco delle famiglie potrebbero garantire a ogni bambino temporaneamente allontanato dalla sua famiglia, non solo assistenza, ma comunque e sempre una relazione familiare indispensabile per una crescita serena ed equilibrata.

La comunità di tipo familiare non può essere altro che una struttura di accoglienza dove una famiglia vive stabilmente accogliendo altri figli in affido. Per questo è totalmente incoerente sostenere l’insostituibilità della famiglia per ogni bambino e continuare a legittimare, attraverso standard strutturali e/o relazionali professionali, le comunità educative.