Marocco: una chance in più ai bambini abbandonati

bassima 200In Marocco nuovi spiragli per la Kafala, l’istituto giuridico a metà tra l’affido e l’adozione dei bambini abbandonati. Stando a quanto riportato sul sito on line ‘La vie eco’, Bassima Hakkaoui, Ministra per la Solidarietà, la Famiglia, la Donna e lo Sviluppo Sociale sarebbe intenzionata a revocare la famigerata circolare emessa nel settembre 2012 dal collega Mustapha Ramid, Ministro della Giustizia. Il quale aveva invitato i giudici a non concedere la kafala alle famiglie non residenti in Marocco. Il provvedimento sarebbe stato inserito nel progetto di “Politica pubblica integrata di protezione dell’infanzia in Marocco”, elaborato dal dipartimento guidato dalla Hakkaoui, con l’obiettivo di colmare le lacune del Piano d’Azione Nazionale per l’Infanzia (PANE) 2006-2015 e dare un nuovo slancio e maggiore efficacia alle politiche di protezione dell’infanzia.

La scelta della Hakkaoui va nella direzione sollecitata dalla società civile, che da tempo chiede l’elaborazione urgente di una legge-quadro in materia. In attesa della quale, gli stessi giudici della Cassazione sono scesi in campo. Il 27 febbraio 2014, infatti, gli alti magistrati in una riunione pubblica hanno promesso di ribaltare i ‘verdetti negativi’ decisi dai giudici di primo grado, con la sola raccomandazione di chiedere agli aspiranti genitori adottivi il rispetto della legge sulla kafala.

Adesso sembra che la Ministra, membro dello stesso partito islamico del collega Ramid, intenda risolvere a monte la questione, attraverso il ritiro della circolare Ramid e la contestuale realizzazione di un organismo che si occupi di selezione e accompagnamento dei genitori, nonché accompagnamento e monitoraggio dei bambini.

Non è dunque caduto nel vuoto l’appello dei Giudici della Cassazione e della società civile (in particolare delle associazioni che compongono il Collettivo Kafala Marocco, che si battono da tempo per il ritiro della circolare), per i quali la debolezza degli uffici consolari non può essere un elemento di freno all’autorizzazione della kafala nei Paesi stranieri.