Non solo Europa: anche l’Italia ha delle responsabilità

sbarcoL’ennesimo “barcone a perdere”. La liquida così Giusy Nicolini, sindaco di Lampedusa, la carretta del mare affondata a 40 miglia dalle coste libiche, traboccante di oltre 400 disperati. Nell’ultima strage sono stati recuperati 17 cadaveri, ma purtroppo almeno 200 sono i dispersi. Altrettanti i salvati. Intervistata da La Stampa, Nicolini afferma: «Ogni naufragio ha le sue specificità, ma il tema è unico. Ci sono barconi a perdere con a bordo vite a perdere. Se non avvistati in tempo e soccorsi, sono destinati ad affondare».

Per i soccorsi in mare, l’Italia ha messo in piedi l’operazione Mare Nostrum, che però non risolve a monte il problema (pochi giorni fa almeno una quarantina i migranti deceduti in un altro naufragio al largo di Tripoli) e costa troppo, in termini economici e di risorse umane.

Intanto, con i morti ancora da recuperare, riparte il balletto della politica, con l’Italia che rinnova le accuse all’Europa di lasciarla sola e Bruxelles che, almeno questa volta, sembra ammettere le proprie responsabilità. Matteo Renzi sarà in Sicilia mercoledì 14 maggio 2014, per ribadire probabilmente che l’immigrazione sarà una delle priorità del semestre italiano di presidenza dell’Ue e per chiedere un maggior coinvolgimento dell’Europa.

Richieste già avanzate da Angelino Alfano, il quale minaccia: «O l’Europa ci aiuta a presidiare la frontiera o faremo valere il principio che il diritto d’asilo riconosciuto dall’Italia si possa esercitare in tutta Europa». E intanto il premier Renzi insiste «L’Europa ci lascia soli: non può salvare gli stati, le banche e poi lasciare morire le madri con i bambini».

Ai cittadini non resta che accogliere con favore l’apertura di Bruxelles alle richieste dell’Italia, arrivata per bocca del commissario per gli affari interni Cecilia Malmstrom, e del presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Ma non si può eludere il problema fondamentale, ovvero che questa crisi, che puntuale si rinnova di anno in anno da almeno un ventennio, viene gestita ancora come un’emergenza dal Governo italiano.

Manca un piano di collegamento che metta a sistema gli interventi delle istituzioni e del privato sociale, ovvero quella cabina di regia da tempo invocata fin dal primo momento dalle associazioni e promessa dall’ex Ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge, ma mai attuata. A chi conviene che si continui a vivere nell’emergenza? Non certo alle associazioni impegnate sul campo, che per poter essere efficaci nella loro azione di accoglienza, hanno bisogno di indicazioni coordinate e precise.