In fuga dalla Siria, gridano al mondo: “Siamo esseri umani come voi”

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“Noi siamo esseri umani come voi”. È una bambina di 4 o 5 anni a gridare al mondo la sua disperata richiesta di aiuto e di umanità. Viene dalla Siria, dove la guerra è entrata nel quarto anno e ha costretto a fuggire non meno di 7 milioni di persone. La fotografia della bimba siriana con in mano la scritta “We are human beings like you” sta facendo il giro del mondo. L’ha scattata il suo papà, Nazir, che insieme ad altre 250 persone ha tentato la traversata del Mediterraneo per giungere in Italia e salvare la propria vita e quella dei suoi figli dagli orrori della guerra civile. E che invece si è ritrovato con tutti gli altri in un commissariato di Al Rashid, in Egitto: ammucchiati gli uni sugli altri, con poche coperte, due sole latrine, rifiuti ovunque. E la paura di essere rimpatriati e di tornare nell’inferno dal quale stavano cercando di sfuggire. Tra loro anche 63 bambini, di cui 44 con meno di 12 anni.

“Non siamo criminali – dicono –, siamo scappati da un regime criminale. Noi rischiamo di essere rimpatriati, abbiamo urgente bisogno di corridoi umanitari. Non vogliamo che il Mediterraneo sia la tomba dei nostri bambini.

Quei bambini che invece, come i loro genitori, sono stati trattati davvero da criminali, anziché da persone in cerca di accoglienza. La storia di Nazir e della sua famiglia è emblematica. Sono fuggiti dalla Siria e giunti in Egitto passando per il Libano. Ottenuto il contatto con gli scafisti, ad Alessandria, è iniziata la fase più drammatica del viaggio. “La sera della partenza ci hanno portato in spiaggia – racconta – e da lì, a gruppi di 3, ci hanno condotti su un barcone”. Sembra la classica, triste, storia dei viaggi della speranza. Ma in questo caso c’è un imprevisto in più. Scoppia una lite tra gli scafisti a bordo e quelli a terra che pretendevano che il barcone tornasse indietro per imbarcare altre 50 persone.  “Ma siamo in acque internazionali – rispondevano i trafficanti a bordo –: stiamo lanciando l’sos per farci venire a prendere”. È questa la nuova tattica degli scafisti. Da quel momento, avanti e indietro per 6 giorni, fino a quando sono stati gli stessi migranti a chiedere di essere riportati indietro: il cibo era finito, l’acqua scarseggiava e piccole falle nello scafo rischiavano di fare affondare il barcone.

Approdati nuovamente in Egitto, è arrivata la beffa. I migranti sono stati prelevati e condotti nel commissariato, divenendo a tutti gli effetti prigionieri. Per 3 settimane sono stati tenuti sotto la minaccia del rimpatrio immediato, “per mandare un messaggio – così veniva detto loro – a tutti quelli che tenteranno di lasciare l’Egitto via mare”. Dopo qualche giorno, 18 migranti sono stati rilasciati e di loro si sono perse le tracce. Altri hanno dovuto attendere ancora per tornare liberi. Per la cronaca, gli scafisti sono stati rilasciati dopo un solo giorno.

Quella di decine di bambini imbarcati alla volta dell’Italia nella ricerca di un futuro dignitoso è una situazione drammaticamente frequente in questi giorni. Il caso più eclatante è rappresentato dal barcone in avaria, soccorso il 19 maggio tra le onde a sud della Sicilia orientale. Le navi della Marina militare che li hanno tratti in salvo ne hanno contati 133: una nave di bambini, una scena che ancora mancava nel triste repertorio del Mediterraneo. Fuggivano dalla Siria. Sono arrivati sani e salvi. Ce l’hanno fatta. Per ora. Perché una volta giunti a terra, avranno un futuro incerto. Tutti i centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati sono al collasso e i Comuni sono stati lasciati soli a gestire l’emergenza. Dall’inizio del 2014 sono 1300 i Misna approdati sulle nostre coste.

Le previsioni parlano di un grande esodo di famiglie siriane ormai alle porte. D’inverno tendono a partire solo gli uomini che aspettano invece che le condizioni del mare migliorino per mettere sui barconi anche mogli e figli.

La necessità di un’accoglienza dignitosa per tutti loro si fa quindi sempre più pressante ed evidente. Non si può rischiare che altri migranti, e in particolare i bambini e le loro mamme, subiscano la stessa sorte di Nazir e della sua famiglia. Ne va della dignità stessa delle persone. Sono esseri umani come noi, diceva il cartello in mano alla piccola siriana. E vanno trattati come tali, aiutati con un’accoglienza a misura di bambino. Per questo, Amici dei Bambini prosegue la sua ricerca di famiglie disponibili ad aprire le proprie porte all’affido temporaneo di questi giovanissimi migranti in cerca di speranza.

 

Fonti: la Repubblica, La Stampa