Il coraggio di chi rischia ogni giorno la vita per aiutare la propria comunità

binnishDal nostro inviato (Luigi Mariani) – Quando Ahmad* mi ha mostrato la foto del figlio che dormiva nel lettone con le mani premute sulle orecchie, ho trattenuto a stento la commozione. L’immagine era così tenera e allo stesso tempo così intrinsecamente drammatica, che è difficile descrivere a parole l’emozione che ho provato nel vederla. “Si è addormentato in questa posizione e si è risvegliato soltanto dopo tre ore” ha aggiunto Ahmad, con una nota di affetto paterno nella voce.

Ogni volta che incontro il referente di Amici dei Bambini e Syrian Children Relief a Binnish, in Siria, mi sembra di avere a che fare con un personaggio dei film, una sorta di supereroe. La storia e il bagaglio di preoccupazioni e pensieri che quest’uomo porta con sé deve essere un fardello difficile da sopportare, eppure lui riesce a dissimulare questa sua condizione con una calma serafica che neanche la guerra sembra scalfire. Di quando in quando – specialmente se in disaccordo – un ghigno ironico, un filo sornione, gli compare sul viso: allora capisci che sta per spiegarti come stanno veramente le cose.

Pare che Ahmad fosse un agricoltore, prima che iniziasse la guerra: la stazza e l’imponenza fisica lo fanno pensare, così come la concretezza e il pragmatismo dei suoi ragionamenti. Quel che è certo, è che ora è diventato uno dei punti di riferimento della sua comunità (e non solo), sempre in prima linea quando si tratta di soccorrere i feriti o portare aiuto e assistenza alle famiglie più bisognose, agli orfani, alle vedove.

Poi naturalmente c’è la sua, di famiglia, che lui cerca di proteggere come può. Questa volta, Ahmad portava sulla propria pelle un segno tangibile della guerra, per quando minimo: un cerotto dietro all’orecchio, ricordo dell’autobomba esplosa lo scorso venerdì di fronte alla moschea di Binnish. Quando mi ha mostrato la foto del figlio maggiore, che aveva un braccio legato intorno al collo e bendaggi vari, ho capito che al ragazzo era andata peggio, ma che tutto sommato poteva considerarsi fortunato anche lui. Ahmad mi ha infatti confermato che il numero ufficiale delle vittime – di cui ha tenuto personalmente il registro – ammonta a 18, di cui 12 originarie di Binnish e 6 provenienti da altri paesi: di queste ultime, solamente 2 sono state riconosciute, per cui al momento sono 4 i corpi che rimangono ancora senza nome. I feriti invece ammontano a un centinaio.

Alle volte si ha quasi la sensazione che ci si possa abituare alla guerra e che si possa imparare a convivere con la paura, l’ansia, l’angoscia quotidiana. Persone come Ahmad quasi riescono a fartelo credere, tale è la dignità che mantengono anche in situazioni così drammatiche. Poi vedi la foto di un bambino che si addormenta con le mani sulle orecchie e improvvisamente il muro s’incrina: ti accorgi che questa, per loro, non potrai mai diventare la normalità.

Qualche tempo fa, Ahmad, parlando dei suoi parenti costretti a lasciare il paese per riparare in Turchia, ha detto: “Io e la mia famiglia non ce ne andremo mai da Binnish. Abbiamo scelto di rimanere, anche a costo di morire, perché lì c’è la nostra gente, lì c’è la nostra casa. È grazie anche al coraggio di persone come Ahmad, se oggi Ai.Bi. può realizzare i propri progetti di assistenza alle famiglie colpite più duramente dal conflitto in Siria. Persone che lottano – anche a rischio della vita – per affermare il proprio diritto di sentirsi a casa, nel proprio paese.

 

In questo momento, c’è bisogno di tutto l’aiuto possibile, da parte di tutti. Non restiamo a guardare.

 

Se vuoi dare anche tu il tuo contributo ai progetti di Ai.Bi. in Siria, per garantire ai bambini e alle famiglie siriane il diritto di sentirsi a casa, nel proprio Paese, visita il sito dedicato.

 

*nome di fantasia