Etiopia: quei bambini che nessuno vuole

mingi200Mingi. Una parola che nella valle del fiume Omo, in Etiopia, fa venire la pelle d’oca. Mingi, ovvero maledetti. Sono i bambini che alcune tribù ritengono portatori di sciagure per svariate ragioni e per questo vengono letteralmente condannati a morte affinché la sfortuna non ricada sulla tribù. Si diventa ‘mingi’ se si nasce fuori dal matrimonio, o se gli incisivi superiori spuntano prima di quelli inferiori. O se il parto si presenta gemellare.

A raccontare il destino dei bimbi mingi è stato per primo Lale Labuko, ragazzo della stessa tribù che all’età di 15 anni ha assistito a una scena che non ha mai dimenticato. Gli anziani della tribù hanno letteralmente strappato dalla braccia di una giovane mamma, una bimba di due anni nata fuori dal matrimonio. E nessuno l’ha mai più rivista, quella bimba. La sua stessa famiglia è stata vittima di questa usanza: due gemelli nati da un suo zio sono stati soppressi. Per contrastare queste antiche usanze tribali, il governo etiopico, ha imposto di registrare tutte le nascite di Karo presso l’ospedale di Dus. Ma non basta. Si può affamare il bambino e poi dire che è morto di cause naturali. Oppure lo si può abbandonare nella savana alla mercé delle iene o gettarlo nel fiume.

Per questo un fotografo americano, John Rowe, ha aperto una casa d’accoglienza che ospita una trentina di bimbi mingi. Intanto Lale, che si divide tra il suo Paese e l’America, ha avviato una vera e propria battaglia culturale che ha ottenuto qualche risultato. La tribù Kara, in tutto 2mila membri, ha abbandonato questa tradizione. Ma esistono ancora gli irriducibili. Gli Hamer, uno dei principali gruppi etnici con oltre 50/60.000 persone, non ne vogliono sapere di abbandonare questa usanza. Anche se sempre più mamme cercano di mettere in salvo i loro bambini, affidandoli alla struttura messa su da un fotografo americano, John Rowe, che ospita una quarantina di bimbi mingi. Belli, sani, e guerrieri. Come l’ultima arrivata. Una bimbetta di circa due anni. Sta bene, uno sguardo vivace. La sua storia è tutta dentro una foto di quando aveva appena 20 giorni. Era uno scheletro. Nata fuori dal matrimonio, gli anziani della sua tribù l’hanno alimentata solo con acqua. Quando è stata portata in ospedale, nessuno credeva si sarebbe salvata. E invece adesso sgambetta e sorride, incosciente della battaglia vinta.

 

Fonte: (Ministero Affari Esteri http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentazione/PubblicazioniTrattati/Bollett%20MAE%20febbraio%202014.pdf)