Roma. “Meglio l’adozione che l’inseminazione”: parola di Vincenzo Broccoli, uno che di adozioni se ne intende

broccoli_adozioneLa sua esperienza di papà adottivo, l’entusiasmo e gli ostacoli incontrati in questo straordinario percorso di accoglienza e le speranze per il futuro delle adozioni. Di tutto questo ha parlato Vincenzo Broccoli, responsabile del Gruppo Famiglie Locali del Lazio di Amici dei Bambini, in un’intervista rilasciata a margine del meeting “E… state in famiglia”, svoltosi a Roma dal 2 al 6 luglio.

Come è iniziato il vostro viaggio verso l’adozione?

Quello che ci ha cambiato prospettiva è stato l’incontro con Ai.Bi.: pur avendo sempre avuto l’idea dell’adozione, attraverso Amici dei Bambini siamo passati dall’idea dell’adozione come fatto privato a quella che comprende tutti i bambini che hanno bisogno di una famiglia. Si è fatta strada in noi una nuova consapevolezza dell’accoglienza: oltre ai nostri bambini, ci siamo resi conto che possiamo impegnarci anche per un “altro nostro figlio” che non vive con noi ma che aspetta di rinascere come figlio.

Com’è stato l’incontro con Ai.Bi.?

Il momento del primo corso maturativo. Grazie ad Ai.Bi. è stato naturale entrare nell’ottica dell’accoglienza di un figlio non nostro già nato, piuttosto che torturarci con pratiche di fecondazione medicalmente assistita per avere un bambino a tutti i costi.

“Sterilità feconda” è un concetto  caro ad Amici dei Bambini. Che emozioni le suscitano queste parole?

Sono parole magiche, che evocano un paradosso che ha cambiato radicalmente la nostra visione di una condizione che io e mia moglie concepivamo come un “danno”, e che con Ai.Bi. siamo stati aiutati a vivere come un “dono“.

Ed è arrivato il dono di due splendidi figli.

Sono state due avventure uniche e irripetibili. Andare incontro al proprio figlio è come un viaggio fuori dal tempo, come una vera e propria nascita. Così sono arrivati John, adottato in Bolivia nel 2005 a soli 10 mesi, e Veronica, venuta dalla Colombia a 2 anni. La gioia in assoluto più grande per me e mia moglie Elisabetta. Quando andammo in Bolivia nell’istituto di nostro figlio John, ci vennero incontro tutti i bimbi che vivevano insieme a lui e ci abbracciarono chiedendo se fossimo venuti per loro. Questa esperienza ci è rimasta profondamente nel cuore e ci ha spinti, una volta tornati in Italia, a metterci al fianco di Ai.Bi. per tutti quei bambini che ancora aspettano una mamma e un papà.

Quali sono le difficoltà che come famiglia avete incontrato?

Non ci sono agevolazioni per la famiglia. Non abbastanza. Inoltre, se da una parte molte porte ci sono state aperte parlando di adozione, in altri contesti abbiamo trovato poca sensibilità. Ci vorrebbero persone che hanno vissuto direttamente quello che abbiamo passato noi per ricoprire certi ruoli, anche solo a uno sportello di un tribunale.

Se potesse vedere esauditi due desideri, cosa chiederebbe alla politica italiana per la sua famiglia?

Prima di tutto un maggior sostegno alle famiglie sul lavoro. Le donne sono ancora molto penalizzate. Una famiglia con un solo reddito non può sopravvivere dignitosamente, quindi una mamma deve lavorare e se il figlio è malato lei deve stare a casa ma non è pagata. Il secondo desiderio sarebbe costituito dalle agevolazioni per le famiglie meno abbienti. L’adozione dovrebbe essere gratuita e per questo ci stiamo battendo.

Che insegnamento ha colto per l’avvenire?

Ho capito che dobbiamo darci da fare noi. Le cose cambiano dal basso: unirsi è importante dentro Ai.Bi., ma a maggior ragione in momenti come questo, di aggregazione di vari enti familiari. Il poco tempo libero che ho lo dedico con passione e attenzione ad Amici dei bambini. È grazie ad Ai.Bi che oggi io e mia moglie abbiamo i nostri figli.