Il mondo visto dagli occhi di un bambino siriano “fortunato”

siriani2Dal nostro inviato (Luigi Mariani) – Quali saranno le conseguenze di lungo termine che la guerra avrà sulla salute fisica e mentale dei bambini siriani? Nessuno sembra poterlo prevedere con certezza, nemmeno gli esperti.

Proviamo allora a guardare il mondo con gli occhi di uno fra i 4,3 milioni di bambini che, secondo stime delle Nazioni Unite, sono stati risucchiati nel vortice di una crisi senza precedenti.

Oggi, un bambino che nasce in Siria è già abbastanza fortunato se ha dei genitori che possano prendersi cura di lui. In molti casi, infatti, il padre è impegnato in battaglia o ha già perso la vita, o è prigioniero, detenuto, disperso. La madre, sola, deve quindi occuparsi del proprio figlio e degli eventuali fratelli. Un bambino che nasce oggi in Siria non ha nemmeno la garanzia di poter essere allattato al seno della propria mamma, perché sono sempre di più le donne che, a causa di malnutrizione o stress post traumatico, non riescono a produrre latte materno o non ne producono abbastanza. Tuttavia, se questo bambino è realmente fortunato, sua madre disporrà almeno delle risorse necessarie per procurargli la quantità di latte artificiale necessaria ad assicurargli una crescita corretta durante i primi mesi vita.

Dopodiché, se anche dovesse abitare nella propria casa, senza essere costretto a trovare rifugio insieme alla famiglia in qualche campo di sfollati improvvisato, con tutta probabilità questo bambino dovrà trascorrere gran parte dell’infanzia al chiuso, o sotto stretta sorveglianza da parte dei suoi cari. Giocare all’aperto comporterà sempre dei pericoli, per lui. Non conta, infatti, se la zona in cui vive sia soggetta o no a frequenti attacchi aerei, bombardamenti o colpi di artiglieria.

In un contesto di guerra, in cui disordine e delinquenza spesso prevalgono, il rischio di essere rapiti o di subire violenze e abusi è comunque molto alto. Una volta che questo bambino avrà compiuto 8, 9 o 10 anni, sarà persino considerato reclutabile da qualche gruppo armato della zona: basterà una distrazione, o che la madre o la nonna lo perdano di vista per un attimo, e si ritroverà senza neanche accorgersene in qualche campo di addestramento, a “giocare” alla guerra insieme ad altri come lui. Con armi vere.

Ipotizziamo però che questo bambino sia abbastanza privilegiato da evitare qualsiasi contatto diretto con la violenza. Innanzitutto, c’è da sperare che non debba mai ricorrere a cure mediche serie o a operazioni chirurgiche, perché il sistema sanitario in Siria è al collasso e i medici riescono a malapena a trattare le malattie ordinarie o a rimettere in piedi i feriti.

Questo bambino, se non costretto dalla miseria o dalle circostanze a lavorare per portare qualche soldo a casa, andrà comunque a scuola, dove avrà modo di interagire con i suoi coetanei. Laddove per “scuola” (in un contesto in cui anche l’apparato educativo nazionale si è pressoché sgretolato), s’intende spesso e volentieri un luogo improvvisato dove l’istruzione di base viene impartita grazie all’iniziativa di qualche privato od organizzazione umanitaria. Ebbene, la sua innocenza finirà nell’istante in cui, per compagno di banco, si troverà un altro bambino dal sorriso spento, dal volto sfregiato o mutilato. Qualcuno che ha avuto meno fortuna di lui e che porta sulla propria pelle i segni del conflitto, o che semplicemente ha conosciuto da vicino la morte e la violenza. Che le ha viste con i propri occhi. A quel punto, anche il bambino che dovesse aver avuto in sorte – fino a quel momento – una vita quasi normale, dovrà inevitabilmente fare i conti con l’atrocità della guerra e con le mille domande senza risposta che essa porta con sé.

Ecco, questo è pressappoco il mondo come lo vede un bambino siriano; meglio, un bambino siriano “fortunato”. Come purtroppo ce ne sono pochi, oggi, in Siria.

 

In questo momento, la popolazione siriana ha bisogno di tutto l’aiuto possibile, da parte di tutti. Non restiamo a guardare.

 

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