Marocco. Il Documento: “Parziali le misure statali contro l’abbandono dei minori e sulla kafala”

marocco1Le associazioni della società civile marocchine tirano l’orecchio al Governo centrale: sarebbero parziali e insufficienti le misure intraprese per prevenire le pratiche di abbandono dei minori e per riformare la Kafala in vista della considerazione dell’interesse superiore del bambino. Secondo l’analisi delle associazioni le politiche implementate a livello governativo per migliorare la tutela dei minori a rischio lascerebbero  a desiderare lasciando quindi trasparire che c’è ancora un po’ di strada da fare.

Il documento (organizzato in quattro macro aree) si unisce ai tre precedentemente presentati dalle associazioni nel giugno 2003, gennaio 2006 e gennaio 2014:  in questo specifico  evidenziano le lacune e le zone d’ombra e forniscono raccomandazioni e pareri sulle direttive di azione da implementare per migliorare la concreta applicazione dei principi sanciti dalla Convenzione sui diritti del Fanciullo. Nel testo le associazioni analizzano le risposte fornite dal Governo del Marocco alle domande poste dal Comitato dei diritti del fanciullo di Ginevra sull’implementazione della Convenzione dei diritti del fanciullo.

Nel caso dei bambini abbandonati, ad esempio, le associazioni sostengono che la carenza di aiuti economici alle famiglie che versano in situazione di indigenza sarebbe tra le principali cause di abbandono dei minori che non riescono a essere presi in carico dai loro genitori. Inoltre i centri di protezione dell’infanzia, che ricevono i bambini abbandonati, non sono attrezzati in modo adeguato per accoglierli ne’ per rispondere alle esigenze dei singoli casi specifici.

Le associazioni, dopo aver considerato insufficienti le misure messe in atto per arginare e risolvere la piaga dell’abbandono minorile, prendono in esame la legge sulla Kafala: adottata nel 2002 non rispecchia si legge nel documento –  le evoluzioni sociali ed istituzionali che il Marocco ha vissuto negli ultimi anni”, e “la circolare del 19 settembre 2012 ha peggiorato la situazione – continua – proibendo la Kafala alle coppie straniere e di conseguenza limitando drasticamente le possibilità di ogni bambino abbandonato di essere affidato ad una famiglia.   Inoltre l’esplicita richiesta, fatta dal Comitato per i diritti del bambino, di riformare la Kafala per permettere una maggiore stabilità ai minori (makfoul) e alle loro famiglie, non sarebbe stata recepita dal governo marocchino, e la situazione dei bambini affidati in Kafala e delle loro famiglie continuerebbe ad essere precaria ed incerta.

Per le associazioni, il quadro non migliorerebbe  se si prendono in considerazione le risorse umane, tecniche e finanziarie assegnate al Ministero della solidarietà, della donna, della famiglia e dello sviluppo sociale. L’analisi mostrerebbe come le misure adottate dal Governo si rivelino parziali e insufficienti. Il Ministero della solidarietà, della donna, della famiglia e dello sviluppo sociale soffre della mancanza di rappresentanze regionali e locali, dovute a dei finanziamenti troppo ristretti, che ne limita il raggio di intervento.

Un’altra macro-area del documento riguarda le misure adottate dal Governo per combattere le disparità tra bambini ricchi e bambini poveri: i servizi sanitari e quelli relativi all’educazione sono ancora affetti da discriminazioni di status sociale e di appartenenza territoriale. Non se la passano meglio i bambini portatori di handicap, sono colpiti dall’assenza di politiche educative inclusive a livello nazionale e locale e dalla mancanza di personale qualificato che possa seguirli nel loro percorso scolastico. Il risultato di queste carenze è che circa l’80% dei bambini in situazione di handicap si trova, una volta terminato il ciclo primario, impossibilitato a continuare la sua istruzione. Per non parlare dell’impiego delle bambine nei lavori domestici. Anche in questo caso, gli strumenti adottati dal governo sono stati pochi e poco efficaci. Nonostante la società civile si sia mobilitata in modo deciso e compatto per una riforma del Codice della Famiglia, nulla è stato fatto a livello statale. Un esempio lampante è quello del matrimonio precoce: il Codice della Famiglia stabilisce che l’età legale per sposarsi è di 18 anni, salvo alcune deroghe, che devono essere concesse da un giudice, che possono farla diminuire a 16. Paradossalmente l’aumento dell’età legale ha portato a un incremento notevole delle richieste di matrimonio precoce, passate da quasi 39.000 nel 2007 a circa 44.000 nel 2013, e ha visto inoltre i giudici accettare queste richieste nella quasi totalità dei casi (l’84 % nel 2013). Inoltre, come se non bastasse, nonostante la società civile abbia moltiplicato gli appelli per eliminare tali deroghe, a livello governativo si sta discutendo per una modifica dell’articolo 19 in favore dell’abbassamento dell’età legale del matrimonio a 16 anni.