Dagli orrori della Siria a quelli dell’Iraq: quale futuro per i nostri figli?

siria iraqDal nostro inviato (Luigi Mariani) – Alle volte si ha quasi la sensazione che il Medio Oriente sia diventato una sorta di grosso buco nero che risucchia tutto, un gorgo di crudeltà, dolore e disperazione, all’interno del quale ogni forma di umanità scompare inesorabilmente. Non ci sono più regole, non esistono più linee rosse oltre le quali non sia lecito andare, perché ormai ogni limite morale è stato impietosamente e abbondantemente superato. Non c’è bambino, donna o anziano che sia al sicuro, anzi, nella maggior parte dei casi i più vulnerabili sono proprio coloro sui quali ci si accanisce di proposito, consapevolmente, per colpire e ferire l’avversario, o per mere ragioni religiose e ideologiche. Non c’è chiesa, scuola, ospedale che possa fornire riparo a chi è costretto ad abbandonare la propria casa e a fuggire dalla guerra e dalla persecuzione. A orrore si aggiunge orrore, in un’escalation quotidiana di violenza, morte e distruzione che sembra non avere mai fine.

Tutto è partito dalla Siria, da uno dei conflitti più atroci e sanguinosi di sempre, ma si è poi allargato ai paesi confinanti, destabilizzando l’intera regione e gettando ombre ancora più oscure sul futuro dei paesi arabi e – forse – del mondo intero.

In pochi, tra le righe della cronaca estera, si saranno accorti che il conflitto siriano, dopo aver sconfinato in Iraq, sta ora minacciando anche il Libano, dove i jihadisti hanno compiuto di recente delle incursioni militari, colpendo e minacciando gli stessi rifugiati siriani, che si trovavano nelle città vicino al confine; la situazione si è fatta a tal punto pericolosa, per loro, che in molti hanno deciso di rientrare in Siria. Un paradosso della disperazione.

Si parla poi delle persecuzioni subite dalle minoranze etniche e religiose, cristiane e non, prese di mira, in questo momento, dal fanatismo di matrice islamica.

L’ultima, terribile vicenda, riguarda l’assedio di circa 20.000 yazidi, intrappolati da giorni sui monti di Sinjar, nel nord dell’Iraq, sotto la minaccia dei jihadisti dello Stato Islamico (ex ISIS). Sul web circolano foto strazianti, di famiglie che ridiscendono da questi aridi e pietrosi monti reggendo fra le braccia bambini privi di vita, presumibilmente morti a causa degli stenti e del caldo. Non ci sono parole per descrivere la drammaticità di certe immagini, solo lacrime per piangere l’inverosimile, l’inaccettabile.

A questo si aggiunga la terribile notizia data dal governo iracheno, secondo cui 500 yazidi, soprattutto donne e bambini, sarebbero stati sepolti vivi dai miliziani dell’ISIS. Si può immaginare atrocità più grande?

Di fronte a una vicenda così agghiacciante, improvvisamente tutto si fa buio. Il dolore è muto, perché alle tante domande suscitate dalla malvagità dell’uomo, non è sempre possibile dare una risposta. La mente si svuota e rimaniamo improvvisamente soli, di fronte all’evidenza del male. L’unico modo per reagire, forse, è guardarsi dentro, dimenticando per un attimo ciò che ci circonda, la nostra vita, i nostri impegni quotidiani, e interrogarci su cosa possiamo fare, noi, per affermare ancora una positività, un ordine, dentro il groviglio di perdizione e nulla che minaccia il nostro esistere, la sopravvivenza stessa della nostra specie. Non possiamo, infatti, sottrarci alla responsabilità: i bambini che muoiono in Siria, Iraq, Palestina o in qualsiasi altro luogo del mondo, sono anche figli nostri, checché ne pensiamo. Un mondo in cui si seppellisce vivo un piccolo essere innocente e indifeso, è un mondo palesemente in bilico, sull’orlo del baratro, che c’interroga e c’impone di prendere una posizione chiara, netta, precisa, per prevenirne il crollo totale e definitivo; per evitare di essere trascinati giù anche noi e di ritrovarci seppelliti a nostra volta, sotto il peso della nostra indifferenza.

Davanti a questa provocazione del cuore e della ragione, sta dunque a noi decidere da che parte stare, in quale tipo di umanità credere, quale visione dell’esistenza trasmettere ai nostri figli (di sangue, ma non solo), quale futuro preparare per loro.

 

Non possiamo restare insensibili. Non possiamo restare a guardare.