Ecco chi sono i volontari in prima linea di Ai.Bi. Dalla Colombia, la storia di Annalisa Lenti: una vita in giro per il mondo al fianco dei più piccoli

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Dal 2008, ogni 19 agosto, si celebra la Giornata Mondiale Umanitaria, per ricordare il lavoro e il sacrificio degli operatori umanitari impegnati negli angoli più poveri e problematici del mondo. Per questa occasione, presentiamo oggi la storia di Annalisa Lenti, la giovane referente di Amici dei Bambini in Colombia, la cui fede e voglia di aiutare il prossimo l’hanno portata a impegnarsi al fianco dell’infanzia più fragile. Riportiamo quindi l’intervista realizzata da Alessandra De Tommasi per il numero del settimanale “A sua immagine” uscito il 16 agosto. A seguire, proponiamo una riflessione e un’analisi della situazione degli operatori umanitari nel mondo, a firma del nostro referente in Siria, Luigi Mariani.

 

“Un salto nel vuoto”, la sua prima esperienza di volontariato internazionale, Annalisa Lenti, 32 anni, la descrive così. È il 2003, si trova in Burkina Faso e le basta un mese per capire che il suo posto è altrove, lontano dall’Italia. A quest’argomento dedica anche la sua tesi di laurea: “La formazione – spiega – è diventata una professione per la vita”. Il suo posto è all’altro capo del globo, un cambiamento radicale per una ragazza che ha sempre vissuto a Valenza Po, la cosiddetta “città dell’oro” piemontese.

 

Lontana dal lusso

“Essere cresciuta in una cittadina dove l’arte orafa è alla base dell’economia mi ha spinto a chiedermi se fosse così anche altrove. Non sono mai stata una di quelle ragazze che guardano con aria sognante i diamanti luccicare nelle vetrine: un anello non dà da mangiare, un chilo di grano sì. E non mi pare che vivere nel lusso renda le persone felici, e io di persone felici ne ho conosciute tante: nessuna di loro indossava bracciali o gioielli. Neppure io, anche se mio nonno paterno aveva una fabbrica d’oreficeria. A Bogotà, in Colombia, dove vivo da due anni dopo le tappe in Brasile e Bolivia, lavoro per Ai.Bi., l’associazione Amici dei Bambini, e mi occupo di progetti con orfani o ragazzi abbandonati. Non posseggono nulla e la stessa maglietta che oggi indossa Josè domani può metterla Julio. L’aspetto sorprendente è che tutti loro sognano di mettere su famiglia e avere figli, per poter dare ciò che a loro è stato negato, un senso di appartenenza attraverso un meccanismo di riscatto positivo chiamato ‘resilienza’: si basa su un concetto fisico per cui un materiale si trasforma senza rompersi.

 

Dove tutto è iniziato

In parrocchia frequenta l’oratorio, diventa educatrice, fa parte dell’Agesci. L’associazione scout le permette di fare le prime esperienze di volontariato. “Ho sempre avuto un obiettivo nella vita: lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato, per questo la mia spinta verso l’altro è diventata un lavoro. L’ho capito in patria prima di spiccare il volo e sento di essere nata per questo, per dare il mio contributo nel servizio offrendo una testimonianza di fede. Ora so che le situazioni di marginalità e di periferia sono le stesse ovunque, anche sei ai ragazzi italiani è più difficile strappare un sorriso, mentre se regali un temperino a un bimbo colombiano lo riempi di gioia: riesci a coprire una sua piccola necessità e nulla diventa scontato”.

 

Quell’asso nella manica

Nei sette anni all’estero, iniziati con il servizio civile internazionale con Vides, una organizzazione non governativa, Annalisa ha modo di confrontare la nostra realtà con quella sudamericana. I suoi sforzi rientrano in una visione più ampia: “Sapere che c’è qualcosa di più grande di noi – afferma – fa sì che il mio impegno trascenda il quotidiano, per me quell’asso nella manica si chiama Dio. Se tutto finisse sulla terra sarebbe inutile dedicare il tempo agli altri. L’ho capito meglio trasferendomi in America Latina: la fede di questa gente che non ha nulla non mi ha fatto dubitare dell’esistenza del Signore, al contrario ha allargato gli orizzonti di una visione della religione limitata. ‘Davvero Qualcuno aiuta queste persone?’: quando me lo chiedo, la risposta è sì. Ricevo quotidianamente testimonianze che mi spingono a pregare davanti alle difficoltà perché so che ha un senso. Non è Lui a essersi dimenticato di questi popoli, sono io a essermi dimenticata di Lui quando lascio che le mie paure prendano il sopravvento. In simili situazioni di povertà e privazioni la religione veicola una filosofia fortissima, quella del ‘nonostante tutto’: nonostante queste sofferenze, Dio è con noi e ci aiuta. Vedere che la realtà non è come dovrebbe essere, toccare il disagio e l’indigenza può generare sconforto, eppure basta cambiare prospettiva e capire che Lui non ci abbandona”.

 

Il senso di casa

“Stare così lontani da casa – aggiunge Annalisa – mette alla prova tutte le relazioni. Vedere la famiglia via webcam non è come abbracciarla, soprattutto con otto ore di fuso orario. Allora le persone con cui lavoro diventano ‘casa’. Valenza Po ha 20mila abitanti, Bogotà 8 milioni, eppure mi mancano le piccole cose, come l’assenza di traffico o l’uso della bicicletta, o alcuni sapori, come la mortadella. Ho imparato a mangiare la pizza con il ketchup, con il pollo e con il mais e faccio attenzione alla borsa, evito di tenere il cellulare in mano e mi assicuro che nessuno mi segua, non mi sento mai al sicuro al cento per cento”.

 

Fare la differenza

Annalisa si occupa di molti programmi di cooperazione internazionale, tra cui l’adozione. “In Bolivia uno è cofinanziato dalla Cei – racconta – e promuove l’inserimento sociale di adolescenti con un lungo vissuto in istituto., A 18 anni, infatti, escono dalla protezione statale e si trovano sperduti, senza una rete d’appoggio. Attraverso borse lavoro di tre mesi nel settore professionale possono acquisire esperienza, ad esempio in officine meccaniche, e allo scadere del periodo il datore di lavoro può assumerli. Abbiamo poi creato tre associazioni di giovani che hanno un passato simile per sensibilizzare l’opinione pubblica. Qui il concetto di volontariato è poco sviluppato, per questo cerchiamo di far capire che a un bimbo abbandonato non manca qualcosa di fisico, come una gamba, perché ha un vuoto maggiore, quello dell’assenza di una famiglia e ha bisogno che la società lo appoggi.

Anche in Colombia è stato avviato un progetto dell’Unione europea che ha permesso a mille ragazzi di prendere coscienza del loro status. Hanno riscritto la Carta dei diritti dei bambini attraverso disegni, cartelloni, idee. Non hanno chiesto solo il diritto all’amore e alla felicità, ma alla ‘locura’, alla sacrosanta pazzia dell’infanzia. Sapere di aver partecipato a costruirne la felicità mi riempie il cuore. E quando ho accompagnato una famiglia italiana ad adottare quattro fratelli impedendo che fossero divisi allora le mie certezze si sono rafforzate: prima nessuno ha mai saputo cosa volesse dire ricevere un bacio della buonanotte. Ora lo sanno. E per me non è un lavoro…”