Associazione “Tiziana vive”. “I bambini non devono pagare il prezzo più alto”

femminicidio“Non possiamo permettere che i bambini, a cui è stata tolta in modo atroce la madre (8 volte su 10 l’assassino è il loro padre biologico) paghino il prezzo più alto del crimine”. A sostenerlo a gran voce è Damiano Rizzi, presidente dell’Associazione culturale onlus “Tiziana vive” commentando così il tragico fatto di cronaca avvenuto il 7 ottobre 2014 a Cattolica.

Damiano Rizzi ha fondato l’associazione “Tiziana Vive” a seguito di un drammatico episodio di femminicidio, per ricordare Tiziana, una giovane mamma di 36 anni atrocemente uccisa dal marito in ambito domestico.

Una storia similare a quella di Cattolica:  Ivana Intilla, appena 27enne è stata brutalmente accoltellata dal marito Raffaele Ottaviani (che si è poi tolto la vita). Tutto questo davanti agli occhi dei figli, due gemellini, il cui futuro è ora appeso a un filo di lana. A chiederne l’affidamento sono i familiari di Ivana che hanno una sola ossessione: riavere i due gemellini di 4 anni nati dall’unione della ragazza con il suo assassino.  Due bambini la cui innocenza è stata infranta in quella villetta di via Cabrai che si è trasformata nel set di un film dell’orrore. «Siamo pronti ad andare fino in fondo – assicura Alessio Intilla, fratello di Ivana -. Vogliamo ottenere la custodia dei bambini. Per mia sorella loro erano la cosa più preziosa al mondo».

Ma cosa è meglio per i due bambini? Essere affidati dai familiari o essere adottati da un’altra famiglia il più lontano possibile da quei luoghi di tragedia? Abbiamo chiesto a Damiani Rizzi cosa ne pensa come Presidente dell’Associazione.

“Premesso che ogni tragedia famigliare deve essere analizzata nella sua specificità – dice -, di sicuro i bambini non possono pagare il prezzo più alto del crimine.  Per i bambini devono, quindi, essere immediatamente valutate le migliori condizioni di affidamento e poi adozione a una famiglia, se possibile parentale, evitando l’inserimento in case di accoglienza temporanea”.

“Diversi studi scientifici dimostrano, infatti – continua Rizzi – in maniera inequivocabile che un minore che ha subito traumi infantili se collocato all’interno di una famiglia in grado di inserirsi nel suo percorso di attaccamento identitario, riescono a loro volta a costruire una famiglia. Il segnale pragmatico che mostra chiaramente che la gestione del trauma non ha annientato l’idea e la rappresentazione mentale di vita famigliare”.

“ In casi in cui il percorso è purtroppo differente – precisa – , aumentano le probabilità di incorrere in patologie quali disturbo da stress post-traumatico cronico, suicidio, delinquenza, abuso di sostanze, depressione. Per i bambini orfani a causa di un femminicidio, si stima che siano 1.500 solo in Italia, però, questi dati purtroppo non sono ancora disponibili”.

Dati e casistiche ancora in fieri e oggetto di studi e ricerche. “Tra tutti spicca un progetto europeo switch-off (http://www.switch-off.eu/il-progetto.html) che mira proprio a costituire questa banca dati per “orfani speciali” che restano anni in un limbo giuridico: che tipo di tutela hanno ricevuto, negli anni, queste persone , quale percorso è stato intrapreso per loro a livello terapeutico, sociale, o giuridico, quanto e come è stato affrontato e ridotto il loro danno da trauma. Tutte domande al momento senza risposta”