Stati Uniti, la madre surrogata ci ripensa e chiede di tenere la bambina: è battaglia legale

utero in affittoUna storia incredibile solca l’oceano Atlantico, dagli Stati Uniti all’Italia, sulle ali dell’amore materno, ma anche su quelle delle mille contraddizioni generate dalla pratica dell’utero in affitto.

Protagonista di questa storia è una bambina che oggi ha quasi 3 anni, nata da una madre surrogata negli Stati Uniti, dove ha vissuto solo pochi giorni prima di trasferirsi in Italia dove risiede oggi. Ma la donna che l’ha partorita ha chiesto al Tribunale dei Minori del suo Stato, il Tennessee, il diritto a visitarla regolarmente, provvedendo anche a un supporto economico: se dovesse avere parere favorevole, si aprirebbe un caso internazionale, figlio – è proprio il caso di dirlo – dell’incertezza generata dalle pratiche di fecondazione artificiale.

Questa la storia. Nel 2010 una coppia italiana non sposata stipula un contratto con una donna americana e suo marito per avere un figlio. Lei sarebbe stata inseminata con i gameti dell’italiano, impegnandosi a cedere il neonato subito dopo il parto. Da quel momento, la coppia americana non avrebbe vantato alcun legame di parentela con il bebè e avrebbe collaborato affinché i genitori “intenzionali” fossero riconosciuti come “legali”. Nel contratto vi è una nota particolare: quella che riconosce esplicitamente che la legge del Tennessee in materia non è chiara. Costo totale dell’operazione, sostenuto dalla coppia italiana: 73mila dollari.

La donna americana quindi resta incinta e 2 mesi prima del parto, nel novembre 2011, i 4 si recano presso il Tribunale minorile competenze per la ratifica dell’accordo. Dal 22 dicembre di quell’anno, secondo il contratto, la coppia americana non avrebbe più avuto diritti genitoriali sul neonato, che sarebbe stato preso in custodia dai 2 italiani. Il certificano di nascita avrebbe riportato il nome dell’uomo italiano come padre del bambino e della donna americana come madre, ma “solo per completare il certificato ai fini della conservazione dei dati”.

Il 7 gennaio 2012 nasce la bambina che, all’inizio – secondo un accordo stretto tra i 4 -, viene allattata dalla madre surrogata.

Di lì a poco, accade l’imprevedibile (ma neanche tanto). La donna italiana torna nel nostro Paese per motivi di famiglia, mentre il suo compagno resta in America. È a quel punto che, la madre surrogata, dopo aver portato in grembo la bambina per 9 mesi e averla allattata, decide di tenerla per sé.

Si rivolge quindi alla magistratura chiedendo la custodia della neonata. A suo favore c’è la legge del Tennessee, secondo cui la procedura svolta fino a quel momento sarebbe invalidata perché i due italiani non sono sposati. Ma la coppia “rimedia”, convolando a nozze. A quel punto, il Tribunale minorile non può che respingere la richiesta della madre surrogata, a cui però resta la possibilità di appellarsi alla Corte Suprema. Che, il 18 settembre 2014, rimette tutto in gioco. Le norme del Tennessee, infatti, “proibiscono che una madre biologica rinunci ai propri diritti di genitore prima della nascita del bambino”, come invece avvenuto in questo caso. La “palla” torna quindi al Tribunale minorile che dovrà stabilire quali siano i diritti della donna americana a visitare e sostenere sua figlia. E la “palla” in questo caso è il destino di una bambina.

 

Fonte: Avvenire