“Così l’adozione è atto d’amore”

adozione200Dopo la dura prova della sterilità ci si trova ad affrontare forti resistenze e tanta burocrazia, ma ne vale la pena. Sul numero uscito domenica 30 novembre dell’inserto di Avvenire “Bologna 7”, tre famiglie adottive di Amici dei Bambini e della comunità “La Pietra Scartata” raccontano la propria esperienza di adozione. Riportiamo di seguito il testo integrale dell’articolo.

 

L’accoglienza pur essendo faticosa resta stupenda. La tentazione è quella di rinunciare e mollare tutto, poiché, dopo aver spesso affrontato la prova della sterilità, ci si riprova ad affrontare resistenze, ricatti, burocrazia, costi, tentazioni. Alcune testimonianze di coniugi dell’associazione “La Pietra Scartata” raccontano che con la loro disponibilità hanno risposto al grido del bambino abbandonato non senza far fronte a difficoltà e tentennamenti che solo grazie alla loro fede sono stati affrontati e superati, nel nome dell’accoglienza adottiva quale autentica vocazione familiare.

Per Lisia e Antonio l’“ostacolo” ha avuto il volto dei propri parenti che all’inizio non hanno capito la loro scelta di donarsi come genitori a un bambino nato dall’altra parte del mondo. Scoraggiati e non sostenuti da parte di chi invece avrebbe potuto stare loro più vicino. Ma una volta compresa, non hanno più dubbi sulla “chiamata” che avevano ricevuto. La conferma che quella fosse la strada da percorrere arrivò in un giorno speciale: l’immagine della Santa Vergine di Pompei giunge nella parrocchia che frequentano abitualmente. Lisia e Antonio sono tra le centinaia di fedeli presenti. “Fu in quell’occasione che il mio cuore si scongelò – racconta Antonio -. Ho capito che il Signore mi stava parlando tramite sua Madre. Quando l’ho detto a mia moglie, lei è scoppiata a piangere, confessandomi che era da un anno che pregava la Madonna affinché parlasse al mio cuore”.

Renata e Giovanni raccontano un episodio della loro adozione. “Mentre eravamo in Brasile per incontrare nostra figlia – ricordano -, ci venne prospettata l’ipotesi che la bambina potesse avere alcuni non meglio specificati problemi. Ci venne quindi offerta la possibilità di ‘sostituirla’ con un altro bambino. Ma noi avevamo nel cuore, cristallina, la decisione di aver già accolto quella bambina come nostra figlia. In quel momento, ci rendemmo conto di aver compiuto un gesto di accoglienza giusta”.

Ma che cosa qualifica un’accoglienza come giusta? “L’accoglienza – aggiungono – è sicuramente un atto d’amore. Farlo in modo giusto vuol dire donarsi totalmente alla persona accolta, offrendo una nuova possibilità di essere figlio, amato appunto senza misura e senza condizioni”.

L’hanno vissuta come un vero e proprio miracolo Paola e Mauro. “Loro ci aspettano. Sono lì negli istituti a soffrire il male dell’abbandono e ci vedono come un miracolo che può salvarli. Quando siamo andati ad accogliere nostro figlio in Russia, ci venivano incontro altri bambini che dicevano di essere suoi fratelli. Era il loro modo di chiederci di prendere anche loro con noi”.

“Per quanto siano piccoli – dicono – sono consapevoli del loro status di bambini abbandonati e di quanto l’adozione internazionale rappresenti per loro l’unica speranza per avere una famiglia”. Un miracolo che suscita la responsabilità nei confronti di tutti i bambini abbandonati che sono ancora in attesa di essere accolti.

Sono solo tre frammenti di storie, capaci di dire il senso cristiano dell’accoglienza: l’adozione di bambini orfani e abbandonati, accolti come propri figli, è una specifica forma di apostolato familiare; quanto l’affido anche l’adozione, nel restituire dignità filiale a chi ne è stato privato, esprime una particolare fecondità dell’esperienza coniugale ed è segno eloquente dell’amore familiare.