Bambini senza valigia: viaggio di solo andata dall’abbandono

senza valigiaQuel cancello che non ha mai oltrepassato questa volta è aperto. Boris ha paura di fare quel passo in più che fino a quel momento non gli era consentito. Non sa ancora che quel freddo e grigio cancello per lui è come un portale magico: lo porterà da un istituto a una famiglia, dalla Russia all’Italia, da una vita a un’altra.

Quella di Boris, figlio adottivo di due coniugi italiani, Chiara e Alessandro, è una delle tante storie di accoglienza raccontate nel libro “Bambini senza valigia. Affidi, adozioni e altre storie”, curato da Claudio Repek, Antonella Bacciarelli e Marco Caneschi, edito da Assemblea nell’ambito di un progetto della Regione Toscana.

La vicenda che vede protagonista il bambino russo è esemplare di come avviene l’adozione oggi: emozioni e paure degli aspiranti genitori, sensazione dei futuri figli che passano dall’abbandono al calore di una famiglia, difficoltà e lungaggini burocratiche.

Abbandonato al momento del parto da sua madre, giovane tossicodipendente per cui lui era già il decimo figlio, Boris ha passato i suoi primi 6 mesi in ospedale, tra terapie di disintossicazione e interventi chirurgici. Poi il passaggio dalle fredde stanze del nosocomio a quelle di un istituto di Mosca. Negli centri per minori da 0 a 3 anni, c’è una tata ogni 25 bambini. “La logica è quella della sopravvivenza – si legge in ‘Bambini senza valigia’ –: nessun contatto fisico e quindi niente calore umano; si piange poco perché il pianto non provoca alcuna risposta; si cresce con fatica perché si vive al chiuso con temperature esterne, per gran parte dell’anno, al di sotto dello zero”.

È in questo contesto che Boris incontra per la prima volta Chiara e Alessandro. Quando li vede va verso di loro timidamente, non li guarda, non immagina nemmeno chi siano. Sceglie di andare in braccio a lei, rimanendo più sospettoso verso di lui: l’istituto è un luogo di bambini e di donne, uomini non se ne vedono.

“Ci siamo accovacciati vicino a lui – racconta Chiara –. Ci stava davanti e non ci guardava. Alla fine siamo riusciti, con un gioco di sguardi, a creare una relazione. Poi si è sciolto velocemente e ha cominciato a giocare con noi”.

L’incontro è avvenuto, l’amore è scattato, ma la burocrazia incombe. Devono passare altri 6 mesi prima che i due coniugi italiani possano portare Boris nel nostro Paese. È l’ultima fase di un cammino estenuante: il decreto di idoneità del Tribunale ha richiesto 8-12 mesi tra udienze, documenti, relazioni di psicologi e assistenti sociali; quindi la scelta dell’ente autorizzato a cui affidarsi, il corso di formazione, la proposta di abbinamento e tutto il resto fino al primo incontro. A cui seguono 6 mesi e altri 20 giorni perché la sentenza passasse in giudicato.

“Decidere di adottare un bambino – spiegano Chiara e Alessandro nel libro – è un salto nel buio. È stata una scelta meditata che ha avuto bisogno di un notevole tempo di maturazione. Abbiamo scoperto poi che la consapevolezza della decisione ci sarebbe servita per superare le difficoltà burocratiche del percorso che avevamo intrapreso. Con il nostro fardello speranze e di disillusioni – continuano – abbiamo compreso perché non tutte le coppie arrivano fino in fondo. È una strada a ostacoli che ha una sua logica: se giungi alla conclusione ti sei creato una corazza, sei forte e in grado di affrontare i problemi.

Tre anni invece di 9 mesi: è il tempo di attesa per due coniugi che vogliono avere un figlio in questo modo. “E’ la storia di amore e determinazione di chi vuole adottare un bambino. E’ la storia di una famiglia che nasce.

Chiara e Alessandro hanno condotto in porto la loro scelta. E non si sono fermati. Nel momento in cui usciva dall’istituto, infatti, Boris non sapeva che alle sue spalle stava lasciando un bambino che dopo pochi anni sarebbe diventato suo fratello.

 

Fonte: Informarezzo