Nessun gesto di accoglienza verso l’altro andrà perduto: il bene costruisce, diversamente dal male che distrugge

Nella XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO la riflessione del teologo Don Chiodi prende spunto dal libro dei Numeri Nm 11,25-29, dalla  lettera di san Giacomo apostolo Gc 5,1-6 e dal Vangelo secondo Marco Mc 9,38-43.45.47-48



Il Vangelo di questa domenica ci offre una serie di parole di Gesù che toccano diversi temi e aspetti della nostra vita cristiana. Il primo, evidente, è proprio all’inizio di questo Vangelo. Uno dei discepoli, Giovanni, va da Gesù a lamentarsi: «abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».

Dietro queste parole di Giovanni ci sono varie e diverse motivazioni. Le più importanti che mi vengono in mente sono due.  Anzitutto c’è un senso di ‘protezione’ nei confronti di Gesù. È come se Giovanni fosse preoccupato per il Maestro e lo volesse difendere da chi, usando il suo nome, potesse fare del bene, scacciando demoni e liberando altri dall’oppressione del male. C’è però anche qualcosa di fastidioso nelle parole di Giovanni: c’è un senso di chiusura, quasi di monopolio, con la pretesa di voler controllare tutto, all’interno di un piccolo gruppo che esclude chi non appartiene al ‘cerchio magico’. È quasi come se dicesse: “Gesù, è nostro, e guai a chi lo tocca!”.

In queste parole c’è qualcosa di intollerante e di possessivo, che diventa ‘pericoloso’ e rischioso. Quale è la risposta di Gesù? Mi sembra che Gesù replichi a Giovanni in modo molto pacato, ma anche con estrema franchezza.

Gesù non è sicuramente un ‘intollerante’. Non si scandalizza, non si adira, non fa pesare a Giovanni quel che ha detto. Sembra che accolga con tranquillità il ‘bene’ che c’è dietro le sue parole, ma nello stesso tempo parla con grande chiarezza e franchezza.  Gesù dice a Giovanni: «Non glielo impedite» e dunque “lasciatelo fare”. Sembra meno ‘zelante’ e meno preoccupato dei suoi discepoli.  Gesù rimanda poi, quando spiega il perché, a una questione di fede: anche se non è ‘dei nostri’, chi fa «un miracolo nel mio nome» non può essere contro di noi, ma al contrario «è per noi».

Qui Gesù si mostra un uomo di grandi vedute, un uomo aperto, accogliente, un uomo tollerante e ospitale, non sospettoso. Uno che invoca il suo nome non può essere contro di Lui. E se non è contro di Lui, in qualche modo appartiene ai ‘suoi’. È comunque dei nostri, anche se non appartiene al gruppo dei discepoli. Qui Gesù ricorda quello che fa anche Mosè, nel racconto dal libro dei Numeri: «Sei tu geloso per me?», dice duramente a Giosuè, quando voleva impedire di profetizzare a due uomini che erano rimasti nell’accampamento, senza andare alla sua tenda. Mosè, qui, non è geloso del dono di Dio.

Il dono, infatti, è dato per condividerlo. Se lo trattengo, lo perdo. Se lo voglio solo per me, imputridisce nelle mie mani, come quando metto una pianta sotto una campana di vetro.  Mosè dice bene: «Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».  Il grande Mosè non può che essere felice se tutti sono profeti, capaci di ascoltare la voce del Signore e di dire ad altri la sua Parola!

Così anche Gesù chiede ai suoi di non restringersi nella difesa del proprio particolare, ma di tenere un animo aperto, tollerante, ospitale … È un bell’insegnamento anche per noi cristiani di oggi. L’importante non è che qualcuno appartenga al ‘nostro’ gruppo, chiuso in se stesso. L’essenziale è la relazione con Gesù, essere ‘con Lui’ e credere nel suo nome. Pian piano questo allarga i nostri orizzonti.  Viene qui da pensare a certe ‘lotte’ nelle nostre comunità, tra gruppi o tra persone, dove si rischia fortemente di dimenticare perché e per chi siamo lì: cristiani che amano Gesù. Sono lotte che ci portano a sprecare energie e tempo, distogliendoci da ciò che conta davvero. Vogliamo bene a Gesù? Siamo grati a Lui, che ci ha gratuitamente chiamato ad essere dei ‘suoi’?

Una volta, dopo la Messa domenicale in cui avevamo letto questo Vangelo, un signore mi aveva fatto notare che, in un altro passo del Vangelo, si dice proprio il contrario: «chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30; Lc 11,23). Questo ci dà l’occasione per entrare più in profondità.  Anzitutto una parola non può mai essere presa da sola, estrapolata dal suo contesto. Là in quel passo, il significato della Parola di Gesù era un altro: si sottolineava la necessità di decidersi per Gesù.

Ma questa solo apparente contraddizione, ci dice che, nella vita, a volte, dobbiamo fare cose che solo guardando in superficie sembrano opporsi tra loro.  Certe volte a un insulto o a una calunnia è bene rispondere, altre volte invece no. Non c’è una regola infallibile, sempre uguale. È sempre necessario il dono della sapienza e della saggezza, per saper discernere se tacere o parlare. C’è un tempo per ogni cosa, nella vita. La seconda riflessione che ci offre questo Vangelo è legata alla precedente dalla formula: «nel mio nome».

 

Gesù dice che chiunque darà ai suoi discepoli anche solo un ‘bicchiere d’acqua’, e cioè una piccolissima cosa, non rimarrà senza ‘ricompensa’. Nessun gesto di amore, di carità, di sollecitudine, di ospitalità, verso l’altro andrà perduto. Il bene rimane e costruisce, diversamente dal male che distrugge e rovina.  Noi, di solito, diamo invece un po’ troppa importanza al male. Certo, effettivamente il male c’è ed è terribile, come Gesù stesso dice poco dopo. Però il bene è più forte e duraturo del male. Se il male distrugge, come fa un terremoto o un’alluvione, tutto ciò è tremendo, perché porta via tutto. Ma, in questo, c’è, solo un effetto distruttivo.   Il bene invece, costruisce, edifica, fa crescere. Il male è distruzione, il bene è costruzione, fa crescere ciò che c’è di bello e di buono nella vita.

Gesù ci dice che, agli occhi di Dio, nulla andrà perduto del bene che facciamo. Questo ‘regola’ divina è importante anche per noi: quante volte noi non ricordiamo il bene e ci facciamo ‘travolgere’ solo dalla paura o dalla rabbia per il male che fa male, distrugge, rovina …!  Apparentemente l’odio, il male, il peccato e l’egoismo sono forti, ma in realtà non è così.

Lo dice Giacomo nella seconda lettura, ai ricchi che sono diventati tali approfittando e sfruttando gli altri. Il loro «oro» e il loro «argento», dice l’apostolo con veemenza, sono fin d’ora «consumati dalla ruggine».    Tutto questo, naturalmente, non ci porta affatto a sottovalutare il male e gli scandali. Nella terza parte del Vangelo, Gesù ha delle parole molto forti e dure contro chi scandalizzerà uno solo di quei piccoli che credono in Lui.

Gli scandali accadevano allora, e anche oggi, purtroppo: pensiamo anche solo agli scandali legati agli abusi, di ogni tempo, da quello di potere, a quello sul corpo dell’altro, come gli abusi sessuali.  Con parole metaforiche, ma durissime, Gesù dice che: «è meglio … entrare nel regno di Dio» senza la mano, il piede o l’occhio che hanno fatto del male, perché li abbiamo ‘tagliati via’, piuttosto che «essere gettato nella Geènna» tutti interi.  Dobbiamo quindi essere disposti a perdere qualcosa di noi stessi, pur di non perdere il dono del Regno di Dio.  Dobbiamo essere disposti a qualunque perdita, sacrificio o lotta se vogliamo accogliere la grazia del Regno. Abbiamo bisogno, oggi, di cristiani coraggiosi, forti, aperti e ospitali, capaci di dare a tutti una bella testimonianza del dono ricevuto!

don Maurizio