“Adozione 3.0: il futuro dell’adozione internazionale” Griffini (Ai.Bi.) a Vita.it

Come dobbiamo immaginare le adozioni internazionali nel loro terzo decennio di storia?

Adozioni 3.0 è la risposta concreta e responsabile di chi vuole lavorare e guardare al futuro contro la logica del “dividi et impera”, Marco Griffini (Ai.Bi.)

Il fatto che tutti gli enti autorizzati si siano riuniti e risintonizzati per il rilancio delle adozioni internazionali è certamente una notizia bella e importante, ma concretamente qual è l’orizzonte in cui le adozioni si muovono e si muoveranno nel prossimo decennio?

A rispondere alle domande ddi Vita.it alcuni degli enti autorizzati coinvolti, tra questi Ai.Bi., attraverso il presidente Marco Griffini.

“Adozioni 3.0 è la migliore risposta al clima di odio che negli anni passati è stato cercato, con quella logica di divide et impera. Questa risposta corale, con l’adesione convinta di tutti, fa piacere, si sta creando un clima veramente di collaborazione. È la risposta concreta e responsabile di chi vuole lavorare e guardare al futuro“.
Un primo segnale positivo, per Griffini, è il fatto che sia stato deposto “lo stereotipo che da anni girava per cui nel mondo non ci sono bambini adottabili. La ministra Bonetti nelle sue prime dichiarazioni ha parlato invece dei tanti bambini che nel mondo aspettano una famiglia. Basta venire una settimana in un ente autorizzato per vedere quanti sono i minori adottabili nelle liste che ci arrivano: certo sono ragazzini grandi 12-13 anni, entrati in istituto a 2-3 anni. È un problema serio, occorre ricominciare a parlarne e a pensare soluzioni nuove. Ad esempio la Colombia continua a chiedere all’Italia di aprire alle vacanze preadottive, ma noi non rispondiamo…”.

Per Griffini le prospettive di lavoro per il terzo decennio sono duplici. All’interno, le priorità sono “i decreti vincolati emessi da tanti Tribunali, in testa quello di Venezia” e la “formazione delle coppie, perché stanno arrivando coppie che non sanno cos’è oggi l’adozione internazionale oggi, pur avendo fatto formazione con i servizi”. Il problema è che “si è interrotta l’osmosi tra enti autorizzati e servizi, occorre rimettere tutti gli operatori fianco a fianco, tutte le quattro gambe delle adozioni, per una nuova stagione di formazione congiunta. Noi stiamo pensando di rendere obbligatoria la formazione prima di dare mandato“, anticipa Griffini. Sul fronte esterno, il rilancio delle adozioni ha a che fare con la politica, con la “speranza che ministra Bonetti voglia riprendere in mano la CAI dal punto di vista politico, proiettandola con impegno con verso l’esterno” ma anche con l’interlocuzione con vari soggetti a livello internazionale, dall’Aja alla Commissione Europea, dall’Unicef all’Onu “d’altronde questo raggruppamento è il più numeroso e il più importante al mondo, può legittimamente aspirare ad essere un interlocutore per queste realtà”.
Tante le domande che esigono una risposta, secondo Griffini: “perché l’adozione internazionale non rientra fra i sistemi di protezione dell’infanzia? Perché Unicef non ha mai fatto un rapporto sulla situazione dei minori abbandonati nel mondo? È vero che se un Paese chiude le adozioni internazionali ha un rating superiore per avere finanziamenti? E in Europa, perché non creare una banca dati europea per capire quanti sono i minori abbandonati in istituto?“.
Le adozioni internazionali sono cambiate. Sono cambiati i numeri, i bambini, le famiglie, le condizioni. Sono cambiati i paesi d’origine e siamo cambiati noi, paese di accoglienza. Guardando i numeri, è facile capirlo: sono meno di mille le adozioni previste per il 2019 (a dire il vero più novecento che mille) e considerando che in media ogni coppia adotta 1,27 bambini, significa che per la fine dell’anno i minori che avranno trovato una famiglia in Italia, grazie all’adozione internazionale, saranno ancora una volta meno dell’anno precedente, meno cioè dei 1.394 minori adottati nel 2018. Il crollo verticale (l’apice, lo ricordiamo, furono i 4.130 minori adottati nel 2010) prosegue.

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