Adozione internazionale. Dalla ‘vacanza’ in Ucraina all’abbraccio con un bimbo di 8 anni. “Oggi ne ha 11 e non lo lascio più”

Mamma, se poi non credono che voglio stare con te? Glielo dico io”, ha detto il bambino, incontrato da Francesca (42 anni) durante un programma di accoglienza per i bambini di Chernobyl: tre mesi in estate e uno in inverno per aiutarli a disintossicarsi

E “il mio piccolo Ufo”, come lo descrive ironicamente la quasi-neomamma di cuore, parafrasando l’epiteto con cui le era stata presentata l’esperienza, l’ha talmente colpita e irretita nel profondo che ha fatto tutto quanto era possibile e necessario per poterlo adottare, nonostante non sia sposata: l’articolo 44 della legge sull’adozione è ciò che ha fatto al caso loro

Una stupenda storia di adozione internazionale iniziata quasi per caso, decidendo con uno spirito vagamente filantropico di partecipare a un programma di accoglienza per i bambini di Chernobyl: tre mesi estivi e uno invernale “per aiutarli a disintossicarsi. La storia di “come è stata adottata da suo figlio” la racconta, sulle pagine del quotidiano La Stampa, la quasi-neo-mamma adottiva Francesca Fornario, romana di 42 anni, autrice satirica e giornalista.

L’avevo inteso come un programma di accoglienza. Ero consapevole dell’impegno – sottolinea – ma sono una persona fortunata e sentivo che era il momento giusto per essere a mia volta generosa. Non sapevo nulla della possibilità di adottare”. Eppure, ecco che nell’estate di due anni fa si presenta per lei la possibilità di conoscere “il mio piccolo Ufo, un bellissimo bimbo di 8 anni, da cui avevo e ho ancora molto da imparare”, precisa.

Eppure, poco prima della partenza qualcuno l’aveva messa in guardia: “Non aspettarti un bambino, ma un alieno, le aveva detto. E invece…il bimbo vive ancora in Ucraina, ma nel frattempo, anche grazie a questa ‘vacanza’, il loro rapporto è cresciuto, si è consolidato. “Mamma. ‘Chiamano così le istitutrici dell’orfanotrofio’, mi avevano avvisato. Io, però – aggiunge Francesca – mi sentivo come uno di quei gatti delle favole, che si ritrovano accanto l’uovo caduto dal nido. Il guscio si rompe, il passerotto fa capolino ed esclama: ‘Mamma!’”.

Da quel momento, la giornalista sente ogni giorno su Skype e WhatsApp il bimbo e quando lui deve andare a scuola e non può venire in Italia, va lei da lui. Non solo: ha avviato le pratiche per l’adozione attraverso l’articolo 44, l’adozione “in casi particolari, in cui chi non è sposato da almeno tre anni o da meno ma con alle spalle una lunga convivenza può diventare genitore se dimostra di avere con il minore “un rapporto continuativo e duraturo di affetto”. Ecco perché Francesca ha portato messaggi, letterine, biglietti aerei al Tribunale per i Minorenni. Che ha valutato i due anni passati insieme e ha detto: ‘sì’.

Dopo le visite mediche di routine e l’incontro con gli assistenti sociali, è prevista a metà giugno l’udienza per dichiarare l’adottabilità del piccolo in Italia. In teoria, per legge, i minori possono esprimersi su questa scelta dopo i 12 anni, lui ne ha 11 ma vuole assolutamente parlare: “Mamma, se poi non credono che voglio stare con te? Glielo dico io”, ha esclamato, già pronto a prendere le parti della mamma che ha appena trovato.

Una meravigliosa storia di amore, che nasce da una ‘vacanza’. Esattamente analoga alla proposta che da anni Ai.Bi. porta avanti per l’istituzionalizzazione delle cosiddette ‘vacanze preadottive’: un periodo di affiancamento a bambini abbandonati che vivono in uno degli istituti presenti in vari Paesi del mondo e che, se la ‘scintilla’ scatta, consentirebbe di adottare un minore anche se già grandicello. Un’opzione per chi non se la sente di ‘rischiare’ una scelta importante di questo tipo ‘a scatola chiusa’ o quasi, ma che permetterebbe, se normata, di far nascere e crescere il rapporto di amore genitoriale e filiale pian piano, fianco a fianco tra genitori e figli in attesa.

Un istituto, quello della ‘vacanza preadottiva’, che potrebbe e dovrebbe trovare qualcuno disposto a trasformarlo in realtà concreta e possibile nel nostro Paese, per restituire una concreta speranza alle migliaia di bambini abbandonati al loro destino e alle altrettante coppie desiderose di dare una casa e una famiglia a questi minori.

Fonte: La Stampa