Adozione a scuola. Vuole un sostegno per sua figlia adottiva? La faccia visitare da un neuropsichiatra

Spesso quando i figli adottivi manifestano delle difficoltà a scuola ci si sente consigliare un supporto neuro-psicologico. Prima, però, sarebbe giusto dare maggior tempo ai bambini e accettare senza drammi anche gli insuccessi

Quando a scuola arriva un bambino adottato la reazione più frequente degli insegnanti è: “Un altro problema in classe!” Perché, diciamocelo, gli insegnanti si trovano a seguire classi di 20-25 alunni con diverse problematicità senza supporti, e, allora, la strada più semplice sarebbe evitare il problema. Oppure demandare ad altri.

Spostare il problema su un altro campo

Però, questi bambini fanno parte delle nostre classi e, se vogliamo tener in considerazione le loro peculiarità, come insegnanti sappiamo che nei Bisogni Educativi Speciali (BES) possiamo far rientrare tutte le situazioni particolari, non necessariamente definite da una certificazione neuropsichiatrica. E gli alunni adottati rientrano in questo gruppo BES: per loro non solo sono previsti Piani Didattici Personalizzati, ma c’è anche un normativa specifica all’interno delle “Linee guida per l’inserimento degli alunni adottati” (Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati 2014, tradotte nella legge 107 del 23/7 del 2015).
Le linee guida del ministero normano i comportamenti da tenere sia sul piano giuridico, sia didattico, dando chiare indicazioni su tempi e modi di inserimento e sulle specificità dell’alunno adottato.
Alla luce dei contenuti delle linee guida, le scuole in questi anni possono essersi dotate di un referente che, formato sui temi dell’adozione sia nazionale sia internazionale, può essere di supporto agli insegnanti che hanno in classe alunni adottati. In questo caso, l’attenzione non sarà data solo alla fase di inserimento, ma a tutto il percorso dell’alunno, evitando alcuni fraintendimenti, il più frequente dei quali è pensare che dopo un paio di anni dall’inserimento a scuola, quando il bambino parla adeguatamente l’italiano, siano superate tutte le difficoltà legate allo studio, in particolare con una lingua che non è la lingua madre.
Altrimenti, succede che, quando a distanza di alcuni anni dall’inserimento, le prestazioni scolastiche dell’alunno adottato non migliorano, ci si chieda se sussistano dei problemi. In quel momento, allora, ci si ricorda che il processo di acquisizione della lingua per lo studio è cosa diversa rispetto a quello della lingua parlata: “Il linguaggio più astratto, necessario per l’apprendimento scolastico avanzato (le cosiddette “cognitive/academic linguistic abilities”, costituite da conoscenze grammaticali e sintattiche complesse e da un vocabolario ampio), viene appreso molto più lentamente” (dalle linee guida).

Dare tempo al bambino e accettare eventuali insuccessi

Di fronte a questa situazione, dunque, capita che da una parte la famiglia vorrebbe veder gratificato lo sforzo dello studio e si aspetta valutazioni più alte, dall’altra gli insegnanti constatano il persistere delle difficoltà. Così, il passaggio a una valutazione neuropsicologica sembra l’unica soluzione, anche a fronte del fatto che spesso gli alunni adottati presentano Difficoltà Specifiche di Apprendimento. Citando sempre le linee guida: “Vari sono gli studi che si sono occupati della presenza, tra i bambini adottati, di una percentuale di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) superiore a quella mediamente presente tra i coetanei non adottati”.
La decisione di ricorrere a una valutazione dovrebbe però essere figlia di un comune accordo tra famiglia e insegnanti. E questo lo si può fare solo se, oltre alla progettazione dell’inserimento, vengono previsti incontri periodici per la revisione del Piano Didattico Personalizzato.
Nella maggior parte delle situazioni, però, è auspicabile dare tempo al bambino di acquisire meglio la lingua italiana in tutte le sue sfumature, verificare in che misura la lingua dello studio è acquisita e, soprattutto, accettare da parte degli adulti che il bambino faccia quel che è pronto a fare, valorizzando quel che fa in quel momento, anche se le sue prestazioni scolastiche sono inferiori ai pari età. Anche su questo aspetto un’attenta lettura delle linee guida fornirebbe a famiglie e insegnanti un aiuto: «… Molti bambini adottati possono presentare problematiche nella sfera psico-emotiva e cognitiva tali da interferire sensibilmente con le capacità di apprendimento, in particolare con le capacità che ci si aspetterebbe in base all’età anagrafica.»
Un bambino adottato anche a distanza di anni dall’entrata in famiglia può non essere in grado di usare tutte le sue energie in ambito scolastico, perché la sua mente è presa dall’accettare la sua storia personale; non pretendiamo da lui, quindi, prestazioni che non è in grado di dare, ma non facciamo nemmeno l’errore di attribuire a a un deficit cognitivo o a mancanza di impegno i risultati scolastici al di sotto delle nostre aspettative. Accettiamo senza drammi gli insuccessi, valorizziamo le cose che riesce a fare meglio e diamogli il tempo per recuperare le esperienze perdute e poter vivere serenamente la scuola in tutte le sue sfaccettature.

Vilma Feltrin
Docente referente per l’inserimento alunni adottati
Istituto Comprensivo Statale di Sacile (PN)

È anche per parlare di problematiche di questo tipo che Faris – Family Relationship International School, la scuola di relazioni familiari di Ai.Bi. propone un servizio di consulenza per le famiglie, in particolare sui temi dell’adozione e dell’affido, nei quali lo staff vanta 40 anni di esperienza.