Albania, la disgregazione familiare parte dall’assenza di tutela per le donne

Emarginate, sottomesse, chiuse in casa, trattate come oggetti o come un peso. È questa la realtà di gran parte delle donne in Albania, soprattutto nei villaggi del nord del paese. La donna è relegata ai margini della società ed è vittima di discriminazioni in ogni ambito, da quello scolastico a quello lavorativo. La discriminazione comincia in famiglia per molte, soprattutto per le donne appartenenti a famiglie in cui il livello d’istruzione è basso o famiglie molto legate alle tradizioni (è il caso per esempio delle famiglie che provengono dalle montagne, che hanno vissuto a lungo isolate). Capita ancora che siano i genitori a scegliere l’uomo che la figlia dovrà sposare e quando la ragazza si ribella, la rottura con la famiglia d’origine è spesso definitiva.
È molto alto inoltre il tasso di violenze domestiche: secondo un rapporto di Amnesty International del 2006 una donna su 3 sarebbe vittima di violenze in ambito familiare, anche se mancano statistiche ufficiali sul fenomeno. La violenza sulle donne sarebbe una delle manifestazioni di una “cultura della violenza” radicata profondamente nella società albanese e aggravata da disoccupazione e alcolismo.

Esiste dal 2006 una nuova legge contro le violenze familiari, ma il budget relativo non è stato ancora approvato e quindi chi denuncia non può avvalersi degli strumenti di sostegno alle vittime previsti dalla legge. Inoltre la violenza in famiglia non è riconosciuta come un crimine da perseguire nemmeno da tutti i membri della polizia, da cui le donne che vogliono denunciare spesso non vengono accolte in maniera adeguata.

La violenza psicologica è ancora più diffusa e fa sì che molte donne non riescano nemmeno a immaginare di poter essere trattate in un modo che rispetti e valorizzi la loro dignità. L’unica forma libera di espressione è l’abbigliamento, in stile occidentale e vistoso, che alcune ragazze usano le poche volte che viene permesso loro di uscire di casa. Vi sono inoltre donne che vivono in un isolamento tale per cui non hanno nemmeno idea di come prendersi cura della propria salute e di quella dei figli.

Una leggenda esemplifica molto bene il ruolo della donna nell’immaginario albanese: la storia di Rozafa. Questa donna leggendaria fu murata viva da suo marito e dai suoi fratelli per annullare una maledizione che impediva loro di costruire il castello che sovrasta Scutari. Prima di morire Rozafa chiese che le lasciassero fuori almeno un braccio per accarezzare il suo figlio neonato, un seno per allattarlo e un piede per dondolare la sua culla.

La vita delle donne è da tempo considerata meno importante di quella degli uomini e lo spirito di sacrificio delle donne albanesi sembra non esaurirsi mai. Sono inoltre talmente avvezze ad essere soffocate nella loro libertà, a partire dagli abiti tradizionali, da accettare questa limitazione come qualcosa di normale, e non riuscire a immaginare un altro possibile modo di vivere.

Vi sono in Albania donne più emancipate, soprattutto in città, ma nei villaggi chi ha studiato e ha una mentalità diversa viene isolata, e diventa spesso oggetto di maldicenze continue. Inoltre se le bambine sembrano frequentare la scuola quasi quanto i bambini, le donne faticano molto di più a trovare un lavoro e i loro salari sono di gran lunga più bassi. Anche le migrazioni degli uomini albanesi mettono spesso in serie difficoltà le donne, che si ritrovano a dover gestire da sole il nucleo familiare.

Le associazioni che si occupano di difendere le donne vittime di violenze hanno poco o alcun sostegno dalle autorità statali. Le donne che trovano il coraggio per denunciare quindi non hanno i mezzi economici per sostenersi e non esistono abbastanza strutture destinate ad accogliere donne in difficoltà.

(Fonte: Associazione Papa Giovanni XXIII)