Bolivia. Muore a 11 anni scoprendo che il suo violentatore è tornato in libertà

Un’agghiacciante fatto di cronaca, in Bolivia, squarcia il velo sull’abisso inconoscibile di ciò che provano, e che si portano dietro per sempre, i bambini che subiscono violenza

Le tre parole, lette una di seguito all’altra, fanno già di per sé correre un brivido lungo la schiena: “violenza sui bambini”. Provocano orrore, indignazione, magari spingono d’impeto a un tweet al quale bisognerebbe pensare cento volte prima di scrivere, ma dopo un po’, come tutto, anche queste parole rischiano di scivolare via, prese dal vortice di tutto ciò che di “altro” vediamo, sentiamo e viviamo.

L’inconoscibile abisso della violenza sui bambini

Quelle tre parole, però, per chi le vive sulla propria pelle, sono come un marchio a fuoco. Perché non sono più solo parole, ma diventano ricordi e sensazioni che segnano per sempre l’esistenza.
Esperti e psicologi potranno scrivere migliaia di libri sull’argomento, e tanti, effettivamente, aiutano, fin dove possono, a elaborare il dramma e provare a ricominciare. Ma l’orrore vero, ciò che realmente vivono i bambini che subiscono violenza, quello non lo potremo mai capire nemmeno lontanamente. Così come non potremo capire gli strascichi che quell’esperienza lascia indelebili nel profondo delle vittime.
Una storia emblematica in tal senso arriva dalla Bolivia, e anche se le informazioni nella loro completezza sono difficili da verificare, il senso di quanto accaduto apre squarci sull’abisso che una violenza sessuale può provocare sui minori.

Lo shock provocato da un ricordo che nessuno potrà mai comprendere

Secondo quanto ricostruito dal quotidiano boliviano El Deber, l’inizio della vicenda risale al 14 febbraio scorso, quando, a Santa Cruz de la Sierra, una bambina di 11 anni che viveva insieme al padre, dopo la separazione dalla madre, ha subìto un abuso, in casa sua, da un ventiduenne che l’aveva contattata via social. Il Padre, tornato poco dopo, ha visto i segni lasciati sul collo della figlia e, scoperta la violenza, ha trovato il violentatore ancora in casa, nudo, nascosto sotto un letto. Consegnato alla giustizia, il ragazzo è stato scarcerato pochi mesi dopo per essere messo agli arresti domiciliari.
È stato allora che la bambina, venuta a sapere della cosa e resasi conto che quell’uomo “si aggirava per la zona intorno a casa sua, nell’area di Plan Tres Mil” – come riporta El Deber, ha avuto un malore ed è morta.
Sempre secondo il quotidiano, l’autopsia ha certificato che la causa del decesso è stata un ictus emorragico, ma il padre e la famiglia non hanno dubbi nell’affermare che tutto è partito dallo shock di aver saputo che chi aveva abusato di lei fosse tornato in libertà e stesse nuovamente cercando di avvicinarsi a casa sua.
Poco importa della successiva nuova istanza per revocare i domiciliari, e non perché la giustizia non conti o non debba seguire le sue strade, ma perché ciò che questa vicenda più di tutto vuole rimarcare è l’incommensurabilità e l’inconoscibilità degli strascichi di un trauma che, purtroppo, si consuma molto più spesso di quanto a ciascuno piacerebbe pensare.
È la “violenza sui bambini”. E non sono solo tre parole!