Cambogia: liberate “donne schiave”. Ora possono tornare con i loro figli

Venivano ingannate con la promessa di un lavoro dignitoso, derubate dei loro risparmi e allontanate dai loro figli e dal loro Paese. E’ venuto alla luce, grazie alla collaborazione dello staff di Ai.Bi. in Cambogia, uno spaventoso traffico di esseri umani di cui erano vittime donne analfabete e in difficoltà economica.

Ne parla oggi il principale quotidiano cambogiano, “Phnom Penh Post”, che dà la notizia dell’arresto del capo dell’organizzazione che gestiva la tratta.

La rete criminale aveva creato un vero e proprio canale di reclutamento di donne in difficoltà da sfruttare. Con una propaganda fatta nei villaggi da una presunta agenzia per il lavoro che prometteva un’occupazione dai facili guadagni in Malesia, decine di donne avevano lasciato le proprie famiglie con l’idea di partire per la Malesia. Prima della partenza, l’organizzazione prevedeva un periodo di formazione e un corso d’inglese, alla quale ogni aspirante a partire era obbligata a partecipare.

Il contratto tra il lavoratore e l’agenzia, spesso volutamente non chiaro alla inconsapevole vittima, prevedeva al momento della firma un assegno di 100 $. Alcune famiglie si erano indebitate fino a 570 $, una cifra altissima, che una famiglia cambogiana difficilmente riuscirebbe a ripagare.

Dietro alle promesse di un facile guadagno lavorando come domestica in case di privati malesiani, si nascondeva una realtà ben diversa: le lavoranti venivano segregate in casa, costrette a orari di lavoro impossibili e talvolta picchiate o violentate e costrette ad abbandonare i loro figli. Lo stipendio delle donne veniva trattenuto dall’organizzazione, così come i documenti.

Lo staff di AiBi in Cambogia è intervenuto con la collaborazione di una ONG australiana, SISHA, da sempre impegnata nella lotta contro il traffico di esseri umani per smascherare i capi dell’organizzazione criminale. Grazie all’intervento delle due Ong una giovane madre è stata liberata dai suoi aguzzini e ha potuto riabbracciare il suo bambino che era stato affidato alle cure degli operatori dell’asilo nido “Santi Angeli Custodi” nel villaggio di Kbal Tomnób, una delle aree più disagiate di Phnom Penh.