Castigo sì o no? L’Europa lo indica come obsoleto. Ma cosa ne dice la pedagogia?

Il Consiglio d’Europa ha suggerito di non utilizzare i castighi come metodo educativo nei confronti dei figli, ma preferire “spiegazioni non aggressive”. Tra favorevoli e contri, il parere, ragionato e consapevole, di una pedagogista

Una volta era il classico: “A letto senza cena”, con la variante più soft: “Fila in camera tua”. Oggi più facilmente si è spostato sul versante elettronico: “Niente videogiochi per una settimana”, o social per i più grandicelli: “Niente telefono fino a nuovo ordine…”. Quale che sia la scelta specifica, la definizione, però, è sempre la stessa: il castigo. Ovvero uno dei mezzi più “tradizionali” utilizzati dai genitori per educare i figli.

Per il Consiglio d’Europa il castigo è un metodo di educazione “obsoleto”

Mezzo che, ora, il Consiglio d’Europa (deputato a promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa; da non confondere con il Consiglio Europeo che definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’Unione) ha sconsigliato nel suo vademecum che suggerisce ai genitori i comportamenti da adottare nei confronti dei figli.
La decisione fa seguito a una richiesta inoltrata da diverse associazioni che chiedevano al Consiglio d’Europa di ripensare la propria posizione su quello che viene definito non tanto come “castigo”, ma come “time out”, ovvero la pratica che prevede di lasciare da solo il bambino come punizione, o come metodo “per riflettere”, su un guaio combinato, un capriccio fatto, ecc. Una soluzione che, secondo le associazioni, rischia di sfociare facilmente in “violenza educativa”, creando più danni che vantaggi.
La soluzione suggerita dal Consiglio d’Europa, davanti a un comportamento scorretto dei propri figli, è quella di reagire “con spiegazioni e in modo non aggressivo”, evitando castighi che vengono definiti “obsoleti”.
Naturalmente si tratta unicamente di un’indicazione, non certo di un “divieto”, come qualche sito e giornale hanno frettolosamente titolato. Chiaramente, però., il tema tocca da vicino tutte le famiglie e suscita reazioni immediate in un senso e nell’altro (è molto circolato il tweet di Carlo Calenda a commento della notizia: “Il crollo della società Occidentale”), ma senza dubbio apre anche a riflessioni più ponderate e interessanti.

Il parere della pedagogista sull’uso del castigo

Abbiamo chiesto, allora, un parere a Rosa Flauto, pedagogista di Ai.Bi. e quotidianamente impegnata con famiglie e bambini di non facile gestione: “Quando un genitore arriva al castigo come forma di intimidazione per zittire o tranquillizzare il figlio – afferma – vuol dire che si è perso dei pezzi di costruzione di una relazione vera e di un’opportunità di accompagnare il figlio nella crescita. Crescita che non è mai solo del minore, ma anche della famiglia.
Capisco che con una vita frenetica come quella che viviamo tutti, oggi, un genitore ogni tanto vorrebbe poter agire la clava dell’autorità. Ma l’autorità è cosa diversa dall’autorevolezza”.
La domanda di fondo su cui riflettere, dunque, non è tanto “Castigo sì o castigo no?”, quanto: “Un figlio teme il castigo o riconosce il buon senso e i valori che il genitore dovrebbe trasmettergli con l’educazione durante la crescita?”
“Soprattutto – prosegue Rosa Flauto – il genitore che utilizza quel castigo, che valore vuole passare al figlio? (sempre che dando il castigo pensi al valore e non solamente a “spegnere” il figlio come si fa con il pc finito il lavoro). È un valore che lui per primo pratica nella sua vita? Di cui dà l’esempio? Che si è preso il tempo di far comprendere al minore/adolescente?
Un genitore presente, che si assume la responsabilità dell’essere diventato padre e madre, e si prende il tempo per farsi riconoscere il ruolo di guida dal minore, probabilmente al castigo non solo non ci arriva, ma neanche ci pensa come metodo risolutivo o praticabile”.
Provocatoriamente, si potrebbe dire che, in questo senso, anche il divieto non è molto diverso dal castigo: non tutto si può risolvere con un “si può fare” o “non si può fare”, perché le cose, nella vita, non sono mai solamente bianche o nere, e perché, ancora una volta, il divieto senza spiegazione rischia di diventare un segnale stradale piazzato arbitrariamente da un’amministrazione comunale rigida e inavvicinabile.
“Bisogna continuare a stare accanto ai propri figli, venendoli nel tempo e ammettendo anche i propri limiti – conclude Flauto. Bisognerebbe, come società, dare alle famiglie degli spazi di confronto per scambiarsi idee e creare strategie per affrontare il tema della crescita dei figli in una società sempre più complessa. Potremmo sviluppare il potenziale umano della collettività…”
E forse, in un certo senso, è quello che l’indicazione del Consiglio d’Europa ha provato a fare e che questa riflessione vuole, nel suo piccolo, portare avanti.