Compleanno della legge n.476/1998: solo 10 anni e già un triste futuro!

Oggi è il decimo anniversario della procedura di adozione internazionale disciplinata dalla legge n. 476 del 31 dicembre 1998 che ha ratificato la Convenzione de L’Aja del 1993. Il nuovo sistema è entrato in vigore proprio il 16 novembre 2000 dopo la approvazione e la pubblicazione del primo albo degli enti autorizzati all’intermediazione in materia di adozione internazionale.

Sono già passati dieci anni, dunque, da quando è stata aperta la strada dell’accompagnamento delle coppie adottive di un minore straniero e, purtroppo, siamo già arrivati ad un punto critico che vede la parabola dell’accoglienza in discesa anziché in salita: il drastico calo delle disponibilità e delle idoneità documentato dall’ultimo rapporto della C.A.I. manifesta una crisi dell’adozione.

E’ evidente che qualcosa non ha funzionato. La legge 476 era pensata per introdurre e armonizzare il sistema preesistente con quanto previsto dalla Convenzione de L’Aja: lo scopo principale della Convenzione era quello di stabilire garanzie affinché le adozioni internazionali si svolgessero nel superiore interesse del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti dal diritto internazionale nonché quello di instaurare un sistema di cooperazione fra gli Stati contraenti per assicurare il rispetto di queste garanzie.

Ci saremmo aspettati quindi un sistema in cui l’adozione internazionale fosse concepita e attuata in uno con la politica italiana di cooperazione allo sviluppo per il rafforzamento di tutte le forme di accoglienza e protezione del sistema infanzia nei Paesi stranieri. E invece non esiste alcun coordinamento tra le politiche italiane di cooperazione e le politiche della Commissione per le adozioni internazionali rispetto ai Paesi che “forniscono” i minori adottati.

Ci saremmo aspettati un sistema di garanzie e di ottimizzazione delle risorse umane ed economiche in gioco. E invece l’adozione dei minori stranieri è oggi appesantita da procedure non sempre efficienti e da costi che gravano tutti sulle spalle delle coppie o degli enti che ricorrono ai finanziamenti dei privati.

E’ evidente che la legge va rivista quanto al ruolo e al controllo che la CAI svolge rispetto agli enti e ai progetti di cooperazione che gli stessi enti conducono all’estero. Ma serve a monte una riforma del profilo degli enti che sono troppi e troppo piccoli: l’ente deve essere strettamente ancorato al territorio sia all’estero, per conoscere a fondo la realtà del Paese in cui operano, e sia in Italia, per accompagnare da vicino le coppie nel loro percorso che non termina con il rientro in Italia ma si estende anche ai momenti successivi di “integrazione” del minore nella nuova famiglia.

Solo con questa urgente riforma le coppie italiane potranno acquistare una nuova fiducia nell’adozione internazionale e riaprire la porta e il cuore ai minori senza famiglia.