“Io e il mio percorso – Partecipazione individuale. Dalla consapevolezza all’espressione di sé, del proprio parere e dei propri diritti.”

Shanti è una giovane donna nata in India nel 1975, adottata da una famiglia italiana nel 1977 e arrivata in Italia in un periodo in cui l’adozione internazionale era un fenomeno pressoché sconosciuto, in un Paese mono razziale che era sempre stato una terra di emigranti e non di emigrati.

Ci racconta Shanti durante il Convegno Internazionale di Ai.Bi.: “intorno ai 4 anni, mi sono resa conto di avere pochissime informazioni legate alla mia famiglia d’origine e alla e alla mia vita pre-adottiva. Tutto ciò mi ha portato a fantasticare su chi fossero i miei genitori e quale mestiere svolgessero; mia madre poteva essere una ballerina, mio padre un principe…chissà!.

Crescendo mi sono accorta che avevo solo un’idea parziale del mio essere e allora ho iniziato a rapportarmi con il mondo circostante per costruire la mia storia.

Sono cresciuta in un piccolo paese di provincia, dove ero l’unica bambina adottata e l’unica che non apparteneva alla razza bianca; stessa cosa a scuola, dove sono sempre stata l’unica studentessa non di origine italiana.

Ricordo un giorno durante il quale la maestra disse a tutti gli alunni di andare in bagno a lavare le mani affinchè diventassero “bianchissime”; io allora sono corsa in bagno, sono stata li per ore, finché l’insegnante è venuta a cercarmi. In quel momento io, piangendo, le ho detto che avevo provato a farle diventare bianche ma non c’ero riuscita; in quel momento è stato chiaro il mio profondo disagio e il mio dolore.

Durante l’età adulta, ho avuto l’occasione di rapportarmi con altri figli adottivi: stesso fil rouge ma esperienze molto diverse, seppur talvolta simili; in questo modo ho preso coscienza relazionale verso altri figli adottivi.

Un giorno, ho ricevuto una lettera dalla direttrice dell’istituto in cui vivevo, la quale mi ha detto che avevo fratelli e sorelle che desideravano conoscermi. E’ stato uno shock, ma la notizia ha suscitato in me una grande curiosità, così sono partita per l’India con mia madre. Il viaggio è stato difficile e piacevole contemporaneamente.

Da quel giorno, ho preso coscienza verso la mia famiglia biologica e il mio paese d’origine. Pur continuando a ritenere le mie origini molto importanti, le ho demitizzate, iniziando a notare differenze e somiglianze tra me e gli altri.

Il passaggio dalla consapevolezza all’espressione del mio essere è stato breve; ciò che mi ha spinto è stato l’amore per la scrittura, la speranza di suscitare delle riflessioni non solo su figli adottivi, genitori adottivi ma anche su persone al di fuori da questo “mondo”, persone che posso però avvicinarsi a questa condizione.

Mettere nero su bianco le mie riflessioni mi ha aiutato molto a chiarirmi le idee, ognuna delle quali ha generato nuove riflessioni. Mi sono sentita di scrivere questo libro di pensieri proprio perché nato dopo attenti e continui ragionamenti.

Dalle prime riflessioni sulla mia vicenda, è nata una raccolta di racconti chiamata “Ritorno alle origini” che è la mia personale visione di ciò che ho provato sulla mia pelle e sentito da altre persone.

Il mio libro è stato usato come ausilio per le famiglie adottive e questa per me è stata una vera soddisfazione.

Ho deciso,poi, di scrivere una seconda raccolta di racconti per vari motivi: alcune mie posizioni di “Ritorno alle origini” erano cambiate, a dimostrazione del fatto che questa consapevolezza non è una manifestazione statica ma qualcosa che si evolve.

Inoltre, sentivo che quelle prime riflessioni non esaurivano per intero il mio sentire.

Questo secondo libro, a differenza del primo, sarà disponibile in libreria e nei siti online,  uscirà circa all’inizio dell’anno prossimo e ha come titolo provvisorio “I ventidue canti di Doyel”.

I racconti, che per ora sono ventidue ma potrebbero aumentare, trattano questi temi: l’importanza della differenza somatica nell’ambito delle relazioni sociali,il tema dell’abbandono, l’adozione oggi, le attese di un figlio adottivo prima del suo ritorno al paese natale e la verifica di quanto queste attese siano effettivamente state soddisfatte,la mancanza d’informazioni sulla propria famiglia d’origine e sulla propria vita pre-adottiva e infine il lungo e difficile percorso psicologico che si deve compiere per riappropriarsi della propria storia e diventare persone più complete.

Vorrei concludere dicendo che il percorso che si deve compiere per diventare persone complete e consapevoli di se stessi, è un cammino che devono far tutti non solo i figli adottivi perché ciò permette di conoscersi meglio”…chi sa da dove viene sa anche dove deve andare”.